Attività sociali: Curling

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Mi sono dato alle attività sociali. Protesto a bordo campo dove giocano il Curling.

Si sentivano ignorati, io li picchetto e loro trovano un senso nuovo. Questa mia attenzione li rinforza nei loro convincimenti. Io mi presento, resto tranquillo due minuti e poi tiro fuori il cartello “assassini, ghiaccio libero” grido, insulto, a volte tiro un paio di pantofole vecchie (poi me le riportano e così si sentono ancora più utili).

Ho già diversi amici nel settore, quando li insulto cerco di non andare sul personale. Uno mi ha invitato a casa sua, dava una festa, ho picchettato fino alle 2 di notte, poi è salito il portiere e mi ha chiesto la cortesia di picchettare in silenzio. Me ne sono andato. Mi piace fare il lavoro come si deve.

Sbocchi lavorativi – la ricetta

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Mangiare abbondante

Bere alcolici, svariati bicchieri

Uscire al freddo

 

Essendo che la cosa è comunque faticosa è un lavoro

Essendo che la cosa è ripetuta spesso, non dico tutti i giorni, è un lavoro

 

I vicini si lamenteranno, ma ricordate loro che poteva andare pure peggio e capitarvi nel loro salotto.

Di pietre e sabbia

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Eja ergo advocata nostra, dal fondo del pozzo attendiamo, catacomba oscura eppure illustre, ci insinuiamo la notte e le mattine, al vespro e al matutinum, abbracciamo il Verbo e lo custodiamo, attendendo, dal fondo del pozzo dove ci gettarono quelli che parevano nostri fratelli, degeneri e traviati. Odio ci cinse perché eravamo troppo luminosi e saggi, troppo millenari eppure piccini, eravamo vecchi bambini, già destinati al trono, viginti quattuor thronos, et super thronos viginti quattuor seniores sedentes, e vennero a noi dicendo che erano dello stesso sangue, della stessa carne, e noi nel fondo del pozzo oscuro attendendo, mentre si spartivano del pane impuro, semplice pane, et sedentes ut comederent panem, così ci vendettero ad altro popolo, a mercanti, ad altri dei, ma noi teniamo saldo, sappiamo che dovrà giungere la liberazione e non vi è istante che non sia confermato. Non credete che si sia spacciati e anche se mostrano i nostri resti, dicono che siamo oramai svaniti, non credete alle false spoglie insanguinate, porgete orecchio e sentirete dal fondo d’una catacomba le campane e dall’alto l’eco e sarete assediati dai rintocchi, voi che pensate di avere assediato e vinto, voi che pensate che oramai è compiuto e che il disco rotto è il canto di vittoria: quel disco è crepato, una fenditura profonda l’attraversa e dovrà spezzarsi. Soffierà quel vento e con gli occhi sgranati grideranno Dominus enim pugnat pro eis contra nos mentre cadranno al suolo come sabbia sottile.

Niente panico arrivo io (racconto brevissimo)

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    L’urbanistica è un casino. Strade chiuse, sensi unici, lavori in corso. Se ti muore uno in un punto si fa l’assembramento, aspetti gli incaricati, lo portano via, sgomberare, non c’è più nulla da vedere, apriremo un gruppo whatsapp dove carichiamo tutte le foto e ve le scaricate. Il problema è quando la roba è più difficile, un omicidio, un caso irrisolto, un bambino, allora sono guai per l’urbanistica, tutti arrivano, vogliono vedere, vogliono toccare… ma quella macchia… ma quella impronta… ma quella sagoma. Se poi il fatto è avvenuto in periferia tra rotonde, gps e scioperi non arrivi più, si ingorga la via principale e partono i clacson, non dormi,  non riposi, la televisione la puoi buttare, vedi solo immagini.

    Io allestisco gli spazi dove mettere i ricordini. Avete presente quando muore uno e tutti vogliono portare il pupazzetto, la letterina, il cuoricino che se lo apri canta “Dammi tre parole, sole, cuore, amore”? Lavoro per i comuni, quando c’è un guaio mi chiamano, arrivo, ho già un paio di gadget personalizzabili in auto, allestisco il punto, l’altarino del ricordo, metto giù due candele, un fogliettino, pupazzetti, la gente arriva e capisce subito… il cittadino non è scemo, se vede roba accumulata ci lascia pure la sua, tipo discarica abusiva, che poi si sente in colpa se mette la letterina più lontano, fa la figura dell’asociale. Quando il morto è in periferia faccio pure i cartelli con le indicazioni, l’ufficio comunale mi indica il tragitto preferibile e io metto gli striscioni, “per il morto da questa parte” “per il tavolino del dolore”. Dei fiori non mi occupo, ho una zia fioraia, viene lei, lascia bigliettini, butta quelli troppo appassiti, ne vende di nuovi, è abusiva, preleva tutto dal cimitero e te li porta freschi sul luogo del disastro. Ultimamente sto ampliando il mio settore e mi dedico alle fiaccolate, di protesta, di supporto, in catalogo ho pure quelle da linciaggio, al momento non mi danno i permessi, ma ci sto lavorando.

Noie

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Si vivono vite mediocri, pezzi di sguincio, sabati di orgette vip club, 50 euro al buttafuori, buttadentro nei peggiori cessi di Manhattan, insensatezze e stupidità, tristi come i buchi nell’intonaco nuovo per fare vedere la pietra antica di certe bettole da riviera, miserandi come l’alzato trilobato, mezzo chiuso mezzo andato, non se ne può più. I viaggi in terza classe con bocciatura condonata, semestre sabbatico, inseminazione celebrale e una miseria invincibile. Tristezza da bagni di sole, da lotterie stagionali, inzuppamenti postbellici e parabellici che neppure i peggiori lotofagi, tempo che scorre, indifferente, siete tristi, valutabilmente tristi, moderatamente tristi, siete di quella tristezza sconcia di un pavimento di coccio pesto, siete da interstizi e sciabattìo, cosa fai per questo fine, vado affanculo, pure ‘sta volta?, sì, con gaudio, e chi è gaudio, Gaudio Lerner, tv, tivvi, non guardo tivvi, non guardi tivvi, tivno, mi sfianco gli zebedei di internetti, scendiletti e caminetti, guardate guardate, ma restate sempre.

Coincidenze della memoria (racconto breve)

Boris Kustodiev [Russian Painter, 1878-1927 by Catherine La Rose (2)

Boris Kustodiev

   Questo mio vizio del tenere un diario è nato dalla mia fissazione per le coincidenze. Ho sempre creduto che clima, luoghi e giorni collaborassero a indirizzare le nostre e le altrui azioni, ho registrato così ogni fatto per potere, di anno in anno, compiere a ritroso il cammino. Ho tirato linee, messo frammenti sulle bacheche di casa, tracciato tramite puntine e cordicelle dei disegni geometrici tra data e data, nel corso di pochi anni pensavo così, ancora lo credo pur con meno forza, di potere stabilire l’andamento generale degli anni a venire per me e per chi mi stava attorno. Per questo ho il diario, per questo ho conservato memoria di quanto ho visto frequentandola. C’è chi, sorridendo, mi ha chiamato suo servitore, chi addirittura suo confidente spirituale, non so se mi stiano deridendo o blandendo, ogni giorno squilla il telefono, il fine settimana suonano al cancello due o tre persone, vogliono intervistarmi, vogliono sapere, chiedono insistenti e io rispondo, rispondo quello che dico di ricordare, quello che posso dire, ma non uso mai i miei diari, non li svelo, dico loro quello che tutti dicono eppure quel che dico io vale tanto di più. Dopo la mia morte qualcuno li vedrà questi quadernetti sparsi, valuterà di anno in anno le mie vicende, ma io non li voglio svelare.

   L’ho conosciuta tanti anni fa, lei è del mio quartiere, ma ci siamo incontrati in età adulta, già ne parlavano tutti, lei era alla mano, cortese, disponibile, non si dava davvero troppe arie, ma non posso certo dire che, al di là di quelle occasioni dove la necessità dominava tutto, lei cercasse contatti umani con quella gente che ricorreva sempre più a lei piena di speranza. Restava selettiva, ma se capitava in pubblico non si mostrava mai infastidita. Cosa vide in me? Perché diventai così assiduo tanto da seguirla poi ad ogni ora? Non potrò mai dirlo, ho sfogliato e risfogliato i miei appunti, non ho trovato nulla, anzi, una noterella mi ha portato alla memoria che, a suo tempo, ebbi l’impressione di esserle antipatico. Invece non fu così, mi venne a cercare, mi allestì un appartamentino a fianco del suo. Io la seguivo un po’ ovunque, mi incaricavo anche di questioni pratiche e chi si ricorda può immaginare la quantità di faccende che mi cadevano addosso, sempre di più. Lei percorreva in lungo e in largo la penisola, poi il mondo, io dietro con biglietti e agende, ogni festa, ogni ricevimento, ogni serata danzante, eravamo ovunque e la nostra intimità era totale. Chi credete che le tenesse la testa quando, dopo una sbronza, vomitava in qualche bagno? Chi andava a comprarle la dose? Io, io pulivo pure la tazza del cesso prima di mettere la pista per la pippata serale, quando iniziava a perdere colpi, quando il sonno si faceva sentire e lei voleva continuare a fare festa (ovviamente pippavo pure io, ma ho smesso, saranno 10 anni ad agosto). E chi si occupava di tutti gli amanti… ho bruciato tutto alla sua morte, ho dato alle fiamme gli elenchi con tutte le annotazioni che mi dettava, ho dato tutto alle fiamme anche se lei voleva che li tenessi… “sono la tua pensione, tienili, ti serviranno, chiami questo e chiami quello, vedrai”, ma io avevo già di mio: mi ha sempre pagato bene e mi ha sempre dato una percentuale delle mazzette, in fondo ho faticato tutta la vita come un mulo, correndo a destra e a manca, neppure mi sono fatto famiglia! E forse è meglio perché la sua passione più grande era disfarne, ogni uomo sposato era una preda sempre più interessante dello scapolo, amava la catena di conseguenze, le rotture, le grida, amava cogliere sul volto dell’amante di turno la traccia dei problemi di casa. I singoli spesso li torturava con la faccenda degli aborti, si inventava di essere incinta, quelli iniziavano a spaventarsi, poi fingeva di abortire, altre volte invece abortiva davvero, ma spesso in questo caso neppure avvisava il padre mancato.

Poi si ammalò, la cosa fu penosa, penosa perché non sapeva accettarlo, non volle ridurre il ritmo, anzi, divenne sempre più famelica di tutto, penso che sarebbe vissuta ancora qualche anno se si fosse moderata, ma era impossibile, la sua natura non poteva accettare pause. Mi manca. Nonostante i bisticci e le terribili scene, le pretese continue, devo dire che sento sempre la sua mancanza. Ho eliminato tutte le sue foto, cerco di non vederla, perché divento sempre più sensibile, in particolare nei mesi di febbraio e giugno, un nulla basta per commuovermi e non voglio mostrarmi in questo stato. Non scriverò nessun libro, nessuna biografia e nessuna intervista verità, non voglio dire nulla eccetto quel poco che dicono tutti, non mi vedrà mai nessuno in televisione, né in qualche documentario e quando morirò i miei diari saranno depositati per 100 anni presso una banca, poi che leggano quanto vogliono o brucino tutto. Voglio restare in casa, tranquillo, tra i miei libri el e mie piantine, ricordare quello che voglio ricordare e pensare il minimo indispensabile, lontano dal frastuono e dal baccano. Per questo, Santo Padre, non ho intenzione di partecipare alla cerimonia di beatificazione che si svolgerà a San Pietro il mese prossimo.

Mi comprenda e perdoni.

Le giuste proporzioni (breve racconto)

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Jonathan Janson, Girl in Hyacinth Blue

Il Paradiso… il Paradiso… voi non potete sapere… voi non potete capire quante notti ho passato in contemplazione del cielo e mi rompevo la testa, colpi duri, sopra il cranio, per pensare meglio, nel dolore, a quella visione che m’era negata. Cristo, Dio, il Paradiso, la Rosa celeste, la visione della luce eterna e immensa, ma dove, dove mi sarei trovato, quanto avrei atteso? Quale fila interminabile è per le anime in attesa di giungere al cospetto del Signore e quanti peccati avrò da espiare… eppure io non pecco, non pecco molto oramai, cose comuni, niente stragi e niente scannamenti, non ho neppure le braccia forti, ma attorno sono tanti come me, mediocri come me, con i loro piccoli peccati, le loro colpe comuni… e pensavo, pensavo, come ascendere, come conquistare un seggio in Paradiso, prima fila, centrale, davanti a Dio, lo schermo immenso, la luce del Proiettore Universale sempre accesa.

Una di quelle notti, perse senza dormire, a tratti scivolando in quei brevi svenimenti che ci permettono di proseguire la veglia, capì che Dio, Dio che ci ama tutti, ma che vuole da noi ubbidienza, sa valutare con le dovute proporzioni di tempi e modi. Epoche dove non vi sono guerre, dove non si diventa generali o boia, dove non vi sono carneficine attorno a noi, sono epoche dove le colpe sono per forza cosa da poco, allora ecco che nel grande abaco stellare quel peccatuccio che valeva 1 vale 10, dunque ancora più lunga l’attesa, l’espiazione, il battere sconsolato alle porte eterne. E allora capii, capii che da questo mio luogo lontano e notturno, oscuro e deserto, da questo precipizio di terra che mi tormentava potevo scalare fino alla Visione solo ammonticchiando peccati altrui, salire sopra le carcasse disanimate, scalare di peccatore in peccatore e trovai il trucco. Il trucco è banale, lo so, ma alla mia mente appare maestoso, come capita spesso per un sogno coltivato al buio. Io non posso innalzarmi con le mie forze, troppo debole, anche lasciare i miei peccatucci mi è impossibile e, pur facendolo, non sarei il solo, allora mi sono convinto che dovevo aggravare quelli degli altri, spingerli a condurre una vita votata alla perdizione più estrema, peccare, peccare gravemente, peccare sopra ogni cosa, bestemmiare senza alcun ritegno, dalla mattina alla sera, peccare con la carne, con lo spirito, con la mente, prendere talmente dimestichezza da non porsi più alcuna questione, salvo per alcuni istanti, istanti di superbia e piacere, istanti fatti per rinfuocare il desiderio del peccato… in quei momenti, io lo sapevo bene, uno poteva vantarsi delle sue bestemmie, delle sue imprecazioni, farne a gara, scagliarne con il gusto di una sfida prelibata e attesa, per poi affondare nuovamente in una insensibile quotidianità del peccato più torbido e basso.

L’ho fatto, sì, ho portato avanti il mio piano, di anno in anno ho accresciuto le manchevolezze di chiunque mi sia venuto a tiro e poi, con tutti i mezzi a disposizione, ho propagato l’infezione, di orecchio in orecchio, di mano in mano, fino a coprire molto e molto spazio… Dio è giusto e valuta secondo proporzione, vedrà le colpe di chi mi era attorno, la gravità del loro male, soppeserà e mi accoglierà nuovamente al suo cospetto, madido e sporco dei cadaveri che ho dovuto scalare, ferito e insozzato dai peccatori che ho dovuto scavalcare… aprirà le sue porte, le sue porte eterne e  i cherubini mi porteranno al mio posto, là, proprio davanti a Dio… e non mi ribellerò mai più.

I Dove Eri

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Ogni tanto mi interrogo sul Dove Ero. Tipo si parte, pensaci, con Dove Eri tu settimana scorsa, poi sui classici Dove Eri l’11 settembre 2001 (accusano?), indi il burocratico Dove Eri il giorno tale che c’è una bolletta da far paura e una telefonata in Scandinavia (alludono?). E io non so mai bene Dove Ero, o forse lo so, lo intuisco, ma non mi piace, vorrei scegliere io i Dove Ero, rigirare la ruota, ad esempio Dove Ero mentre sparavano all’Arciduca Ferdinando? Dove ero quando bruciavano la Biblioteca d’Alessandria? Dove ero quando conquistavano la Gallia? E poi ci sono tutti i Dove Eri piccini, di fatti piccini, di luoghi perduti in universi paralleli. Se uno ci pensa è tutta una vita di Dove Eri che non abbiamo mai vissuto.

PS: per chi lo volesse sapere io quando hanno fatto quella foto c’ero, sono il sesto a destra della prima fila a sinistra della colonna di centro. Partendo dall’ultimo a destra, in alto, contate 13 e mi trovate.

Vizi e non virtù

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Quando consideri la serie infinita di partigiani post guerra, di garibaldini post unità, il malloppo compatto di ventenni iscritti all’ANPI allora ti rendi conto che, per legge di natura e per legge dei grandi numeri, molti di questi sotto ai regimi totalitari dichiarati li avresti trovati in piazza, sotto il balcone, ad inneggiare al retore di turno. Gli altri non sono da meno, ci sono i fascisti post fascio, i guerrafondai post guerra. Infine c’è quel gruppo che è bastian contrario, quelli che a quanti fanno i partigiani paiono roba sospetta e ai fasci roba dubbia, tra questi bastian contrari si annida, nel loro vizio, il germe della resistenza reale, quella che si oppone non in nome di virtù rintracciate e costruite dopo i fatti, ma si oppone per il semplice desiderio di andare contro non sopportando gli altri.