ANIME TROPPO FRAGILI E PENNE TROPPO DURE, IN MERITO AD UNA NUOVA BIOGRAFIA DI FRANZ SCHUBERT

   Ho sempre trovato piuttosto deludente la letteratura attorno alla vicenda musicale e biografica di Franz Schubert. I problemi sono numerosi: scarsa documentazione personale (qualche lettera e un diario molto lacunoso e giovanile), eccessiva documentazione post mortem tendenziosa (ricordi di contemporanei e amici), rapida schematizzazione della sua figura al fianco del titano beethoveniano. Nei decenni si sono assommate discussioni che hanno lasciato il tempo che trovavano, accanto ad altre certo più fondamentali. Dunque è con titubanza che mi sono avvicinato alla recente biografia di Elizabeth Norman McKay e sono emerso deluso dalla lettura. Non voglio imputare tutte le colpe alla Autrice, la documentazione, dicevo, è impervia e lei si affatica e non poco per tentare di levare la patina di “bimbo mai cresciuto e ingenuo” che si è creata rapidamente sulla sua immagine. Ci riesce? No. Abbandona le limacciose e romantiche lande dell’eterno bambino con poca consapevolezza del mondo (un pensiero fortissimo e che domina ancora molta lettura del ‘900, lo stesso Dieskau, tanto per citare un cantante/studioso certo molto documentato su Schubert, ripete ancora questo comodo stilema in varie opere e interviste) ma approda ad una stucchevole dissezione psicologica, frammista a lunghi tiritere sulla omosessualità o non omosessualità del compositore (lei è per negare tale omosessualità) quando, come sottolineato a più riprese da Harold Bloom, questi sono dati biografici in realtà poco influenti sulla reale opera d’arte.

In fondo la questione della “femminilità” schubertiana è assai meglio affrontata all’interno del primo volume della vasta opera di Scott Messing (Schubert in the European Imagination -vol. 1-) dove penso si possa individuare in un involontario Schumann l’iniziatore di una certa confusione. Schumann parlava di Carattere femminile della musica schubertiana sia sulla base del genere di composizioni per cui Schubert era più conosciuto (la liederistica che, normalmente più semplice di altri generi, era vista dal pubblico e dagli editori come un settore musicale rivolto al pubblico femminile) sia perché pensava al confronto con Beethoven e dunque vedeva in Schubert l’altra faccia, l’equilibrio, della possanza compositiva Beethoveniana.

I decenni hanno portato progressivamente a trasferire una annotazione musicale e che prendeva spunto da una precisa visione di Schumann, nata dalla sua necessità come teorico della musica e recensore, di trovare un sistema di organizzazione del mondo a lui (quasi) contemporaneo, in qualcosa di più. A questo si è aggiunta la titubanza della cerchia degli amici di Schubert a nominare chiaramente il tipo di malanno che se lo portò via (probabilmente una sifilide contratta in un bordello –chissà se vi avrà suonato il piano come il Nietzsche/Leverkühn di Mann?-) e a descrivere gli sbalzi umorali, anche violenti, dovuti al dolore, al vino, ai medicamenti. Le testimonianze personali sono sempre utili e possono servire a vedere aspetti quasi incredibili (ne parlerò in futuro in merito alle memorie di Bioy Casares sulla sua amicizia con Borges). La vita intima di Schubert era terreno minato. Da tutto questo illazioni sopra illazioni. Orbene, una biografia può riguardare anche questo, ma se questo tema diventa un continuo “ritornare a”, imbottito di teorie di psicologia e di psicanalisi ecco che finiamo per trovarci davanti un mattone fastidioso come le porcherie di Kohler in merito a Nietzsche (i suoi “il segreto di Zarathustra”, con la sua ripetuta interpretazione omoerotica di qualsiasi virgola di Nietzsche, e l’assurdo “Nietzsche e Cosima Wagner” con tutte le componenti di sadismo sessuale, sono tra i frutti, a mio parere, della peggior applicazione di psicanalisi e psicologia alla biografia e alla opera di un uomo). L’impressione è che la McKay non sapesse come riempirlo questo (pure costoso) libro e così ci ha buttato a piene mani queste considerazioni che, nel migliore dei casi, definirei inutili. Trovarsi a saltare pagine e pagine, sbuffando come un treno a vapore, è una delle principali attività inerenti alla lettura di questo libro. Quando si occupa delle opere è superficiale, sono tutti sentito dire e ripreso da, nulla che possa interessare. Insomma, calcolando pure il costo non indifferente, sconsiglio vivamente questa biografia di Schubert. Pare partire bene quando si occupa, sulla scorta comunque di altri studi precedenti, di eliminare certi aspetti romanzati della vicenda schubertiana (in particolare l’arcigno e tirannico padre, ridimensionato a persona severa ma giusta, consapevole delle capacità del figlio ma preoccupato per il suo avvenire in una Austria dove i grandi e piccoli mecenati non esistevano più e le case editrici latitavano con i compensi) ma naufraga poi nella assurda pretesa di mostarci sul tavolo autoptico l’anima di un compositore.

ILLUSIONI

Non si venerano i morti

non si onorano i morti

non si ricordano i morti

non si pensano i morti

non si incensano i morti

non si invocano i morti

non si esaminano i morti

non si osannano i morti

non si compiangono i morti

non si compatiscono i morti

non si dominano i morti

non si cercano i morti

non si osservano i morti

non si maledicono i morti

non si insultano i morti

non si trascinano i morti

non si confondono i morti

non si fermano i morti

non si muovono i morti.

Siamo noi ad illuderci di fare tutto questo.

TOTO’, PEPPINO E IL FANATICO

Totò, Peppino e un fanatico

Carmelo Bene, scrivendo in merito ad un episodio di censura cinematografica, ricordava come per il genio la censura non fosse un impedimento, ma anzi uno stimolo e che ogni grandissimo ha sempre prevalso, grazie alla evidente superiorità della sua opera, sopra ogni tentativo di farlo tacere. Ho il vago ricordo di aver letto una posizione simile anche in Borges, ma non ci giurerei. La censura può essere odiosa e certo, se assoluta e repressiva fino al punto di eliminare fisicamente, invalicabile, ma resta il fatto che, dando una occhiata a quanto ci troviamo attorno, pare che mai come oggi l’assenza totale di censura abbia partorito una linea totalmente piatta. Se la censura poteva consentire a qualsiasi imbecille di fare lo “scandaloso” utilizzando i suoi scarsi mezzi, oggi l’assenza ha reso l’imbecillità ancora più imperante e incontenibile. Per carità, non si pensi che questo voglia essere un elogio della censura, ma mi permetto solo di rilevare come l’estrema libertà di dire, scrivere, proclamare  qualsiasi fesseria ci passi per la mente, l’abitudine a considerare scandaloso qualunque e chiunque se ci è detto da un Quotidiano, siano tutte madri incinte di mai nati che, alzatisi sulle loro gambette, fanno sfoggio della loro incompletezza in un mondo che si compiace di loro, anche qaundo li critica (le parole possono non servire a nulla). A questo si aggiungono questioni di altro tipo, quanto una volta un regista temeva lo scudiscio della censura, quanto oggi si sbava per attirare l’attenzione più morbosa possibile e generare pubblicità da una non meno imprecisata e scandalosa componente “vietatissima” del proprio nulla sopra schermo. Bene riuscì a fare di tutto, Nostra Signora Dei Turcbi è un esempio evidente, tutto nel mezzo della censura più beghina e baciapile.

In questo caso però vogliamo ricordare un censore doc, una donna dalle spalle nude, un rimbrotto, un duello, un Principe, due grandi comici e Federico Fellini. Detta così sembrerà un guazzabuglio ma non lo è. Il Censore è il da poco scomparso Oscar Luigi Scalfaro, già magistrato, già ministro, già Presidente della Repubblica e già accanito censore di film. Notoriamente si dice che dei morti non si può parlare male ed infatti non leggerete, nel prosieguo della vicenda, nulla in merito al morto, alla sua sepoltura, alla posizione della salma, alle decorazioni, alla messa e via cantando (o non cantando), ci si interesserà dello Scalfaro vivo e vegeto.

 L’episodio di partenza del tutto è notorio. Narrano le cronache, più o meno smentite, che Scalfaro, offeso dalla impudenza (secondo lui) di una signora della Roma bene, Edith Mingoni Toussan, rea di essersi mostrata in un ristorante a spalle scoperte, la redarguì pesantemente, apostrofandola come “donna pubblica”, prostituta insomma, e, secondo alcuni, terminò il predicozzo rifilando una serie di schiaffi alla sventurata. La cosa scatenò aspre polemiche e, da parte dei parenti della Toussan, la richiesta di poter lavare con il sangue, attraverso un duello, il torto e l’infamia subita. Scalfaro si rifiutò categoricamente di accettare lo scontro, asserendo che la sua religione condannava il duello (certo molti di noi ricorderanno come da magistrato fece comminare la pena di morte, già a guerra finita, a due fascisti, guardandosi bene dal sottrarsi dall’incarico). Il 23 novembre 1950 l’Avanti pubblicò una lettera del Principe De Curtis

 Ho appreso dai giornali che Ella ha respinto la sfida a duello inviataLe dal padre della signora Toussan, in seguito agli incidenti a Lei noti. La motivazione del rifiuto di battersi da Lei adottata, cioè quella dei princìpi cristiani, ammetterà che è speciosa e infondata.
Il sentimento cristiano, prima di essere da Lei invocato per sottrarsi a un dovere che è patrimonio comune di tutti i gentiluomini, avrebbe dovuto impedire a Lei e ai Suoi Amici di fare apprezzamenti sulla persona di una Signora rispettabilissima. Abusi del genere comportano l’obbligo di assumerne le conseguenze, specialmente per uomini responsabili, i quali hanno la discutibile prerogativa di essere segnalati all’attenzione pubblica, per ogni loro atto. Non si pretende da Lei, dopo il rifiuto di battersi, una maggiore sensibilità, ma si ha il diritto di esigere che in incidenti del genere, le persone alle quali il sentimento della responsabilità morale e cavalleresca è ignoto, abbiano almeno il pudore di sottrarsi al giudizio degli uomini, ai quali questi sentimenti e il coraggio civile dicono ancora qualcosa

 Non risulta una risposta ufficiale da parte di Scalfaro, ma quello che appare certo, dagli studi di archivio, è la sua ampia e intensa insistenza perché un film di Totò e Monicelli, Totò e Carolina (1955), venisse sottoposto ad una forte campagna di censura, cosa che in effetti avvenne tanto che il film ne uscì pesantemente menomato. Scalfaro si prese insomma la sua vendetta, dalle retrovie, dando ulteriore prova di come, più che lo spirito cristiano, in lui agisse una certa “coniglieria” di lungo pelo. Totò, signorilmente, non risulta che abbia mai detto nulla sulla questione, ma in suo soccorso chi poteva venire se non Peppino de Filippo? E fu proprio Peppino de Filippo, impersonando i panni del moralissimo Antonio Mazzuolo, a mettere in scena la parodia dell’oramai leggendario episodio della signora Toussan.

Nel Boccaccio 70, film a episodi, Fellini si prese beffa di Scalfaro attraverso l’episodio delle Tentazioni del Dottor Antonio (Peppino, appunto) che i più ricorderanno soprattutto per la celebre scena della Anitona Ekberg gigantesca, sorta di accumulo dei sogni erotici italiani e delle predilizioni fisiche felliniane. Fellini e Peppino non solo si facevano beffe della figura in generale del moralizzatore e dunque del censore (l’opera ovviamente non ebbe vita facile), ma in particolare di Scalfaro e dunque vendicando in un sol colpo Totò e Monicelli.