SaraiSaprai (da “Canti di Nella”)

Sarò con te
se tu sei con me
Sarai con me
se io sarò con te
Sarai com’è
se io sarò con te
Saprò com’è
se tu sarai con me
Sarò con te
se non sarai con me
ma sarai con me
se non sarò con te?
Sarà com’è se sarai
non con te non con me
con me sarai con te
se sarò con te
allora saprò com’è
essere con te
se sarai con me
che sarò con te.
Saraisaprai com’è
Sarai
Saraisaprai com’è
Sarò
com’è?
Saremo?

Saraisaprai

Sapremo

Nome

Non ho tolto il tuo nome dalla dedica

avrei potuto

i tempi d’ogni pubblicazione li conosci

avrei potuto

con una riga di penna cancellarti

ma non si possono tirare righe dentro,

neppure le incisioni più profonde,

eradere la superficie,

scalpellare ogni parola,

c’è sempre chi ti vede in controluce,

c’è sempre chi è più esperto e ti scorge

in quel piccolo punto morto dell’occhio,

siamo fatti per brillare

ma ci bruciamo pure

ed è difficile sostituire il canto al canto

—–

Non ho tolto il tuo nome dalla dedica,

avrei potuto,

all’editore non importa,

avrei potuto

con un semplice segno farti svanire

e poi pentirmene e scrivere “vive”

sul bordo

e poi ripentirmene ancora e ricancellare

e via, e via, e via,

e l’editore starebbe ancora attendendo

(di questo sì che gli importa)

maledicendo questo nome, il mio,

che rimane sospeso sopra un nome, il tuo.

Quando il mio tempo verrà (da “Canti di Nella”)

Kitagawa Utamaro, Bellezza che si incipria il collo, c. 1790

Quando il mio tempo verrà

Esponete il mio corpo alla Luna

Perché il Sole è troppo volgare

Nel rivelare tutti assieme i segreti

 —–

Vegliatemi

E sentirete sussurrare il mio volto

Mentre la Notte gli donerà quelle lacrime

Che ha dovuto nascondere in vita

 —–

Esponete il mio corpo alla Luna

E cadrà ogni maschera del Tempo,

le dita tracceranno i nomi

che hanno attraversato il mio sguardo

mentre prenderò il volo

verso quella luce silente,

in viaggio fino a quel punto

dove l’orizzonte si perde

baciando cielo e terra

Il mondo è là fuori

maxresdefault

(Ph. Elliott Erwitt, Pittsburgh 1950)

 

Il mondo è là fuori

ricolmo di gente che crede

d’avere di tutti i dolori

l’esclusiva

gente che cammina e non vede

che siamo luci e lutti

alla deriva,

anime frastagliate, flutti

di suoni,

cercatori in mezzo alla neve

di piccoli fiori

che rendano un poco lieve

tutti quei fori

che ognuno nel suo animo

possiede

Ascoltandoti nell’adagietto della quinta di Mahler

Non sono nuvole e sole
questi giochi silenti
d’ombre assopite. Parole
sussurrate a fior di denti,
labbra notturne
dalle mie labbra rapite
alle mie labbra rapite,
dominio di grotte
riparate, pareti albenti
di melodrammi
ispirate dai suoni nascenti
d’un silenzioso cammino

Vedi come si dispongono
seguendo la traccia
del filo d’oro fino,
tracciata come su lavagne
di una lontana scuola,
seguendo la traccia
d’un delicato nocciola
che addensa in uno sguardo
tutto un mondo, una sola
ragione in un istante
dove il prima è dopo
ed il dopo è cangiante
eppure interconnesso
con l’origine del tutto stesso

 

No, tu non sei quella

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(Ph: Marc Riboud)

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No, tu non sei quella

me l’ha detto una sirena

notturna in riva al mare,

me l’ha detto la tua mano

taciturna coperta d’arena

No, tu non sei quella

che cospargerà di sale

i miei passi

sul terreno d’una stella,

ammassi

di costellazioni svanite

come cumuli di vite

sono alle nostre spalle,

comete infinite d’azioni,

scie gialle di parole

No, tu non sei quella

che spingerà la mia nave

verso il sole

perché si incenerisca

l’isola che nel mio occhio

galleggia