Il colore dei versi (da “Canti di Nella”)

Di che colore sono i miei versi

sarei banale se dicessi dei tuoi occhi

e mi riderebbero dietro i marmocchi

che giocano sul lungomare

 

I miei versi sono del colore della luce

che superando una misera plastica

ti colpisce in viso, apparizione fantastica,

e allora ti vedo davvero davvero felice

 

I miei versi sono del colore del tuo sorriso

Quando il mio tempo verrà (da “Canti di Nella”)

Kitagawa Utamaro, Bellezza che si incipria il collo, c. 1790

Quando il mio tempo verrà

Esponete il mio corpo alla Luna

Perché il Sole è troppo volgare

Nel rivelare tutti assieme i segreti

 —–

Vegliatemi

E sentirete sussurrare il mio volto

Mentre la Notte gli donerà quelle lacrime

Che ha dovuto nascondere in vita

 —–

Esponete il mio corpo alla Luna

E cadrà ogni maschera del Tempo,

le dita tracceranno i nomi

che hanno attraversato il mio sguardo

mentre prenderò il volo

verso quella luce silente,

in viaggio fino a quel punto

dove l’orizzonte si perde

baciando cielo e terra

Il mondo è là fuori

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(Ph. Elliott Erwitt, Pittsburgh 1950)

 

Il mondo è là fuori

ricolmo di gente che crede

d’avere di tutti i dolori

l’esclusiva

gente che cammina e non vede

che siamo luci e lutti

alla deriva,

anime frastagliate, flutti

di suoni,

cercatori in mezzo alla neve

di piccoli fiori

che rendano un poco lieve

tutti quei fori

che ognuno nel suo animo

possiede

Ascoltandoti nell’adagietto della quinta di Mahler

Non sono nuvole e sole
questi giochi silenti
d’ombre assopite. Parole
sussurrate a fior di denti,
labbra notturne
dalle mie labbra rapite
alle mie labbra rapite,
dominio di grotte
riparate, pareti albenti
di melodrammi
ispirate dai suoni nascenti
d’un silenzioso cammino

Vedi come si dispongono
seguendo la traccia
del filo d’oro fino,
tracciata come su lavagne
di una lontana scuola,
seguendo la traccia
d’un delicato nocciola
che addensa in uno sguardo
tutto un mondo, una sola
ragione in un istante
dove il prima è dopo
ed il dopo è cangiante
eppure interconnesso
con l’origine del tutto stesso

 

Senza titolo

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Ho racchiuso la mia anima in una conchiglia

affidata al mare come in una piccola barca

e per portentosa grazia alla fine questa arca

è giunta alla tua bella isola, oh meraviglia

 

Raccoglila con quelle tue dita color di rosa

e soffia dentro al guscio con le tue labbra

vedrai risvegliarsi così la mia anima, ebbra

di te, di te assetata e affamata senza posa

 

Pontela in seno perché a te sola appartiene

quest’anima ora così stranita e confusa

poggiala sul corpo a contatto delle vene

e che sia dalla tua calda pelle circonfusa

 

Vedrai quest’anima rapida disciogliersi

come un balsamo, un profumo prezioso

e ricoprirti tutta d’un unguento amoroso

che poi non potrà più da te scindersi

 

E sentirai come una fiamma ardente profonda

irradiarsi per tutta la distesa del tuo essere

ora guizzante, ora lenta, la sentirai tessere

piaceri e attese al ritmo misterioso dell’onda

 

Sentirai volteggiare e scendere, infiniti giri

potrai percepire e lampi come fulmini

da squassare ogni nervo, discese e culmini

inattesi e cadenzati al ritmo dei sospiri

 

Riposi poi bramati come ripari dall’addiaccio

o come quando vento dopo il calore ci toccas

tutto questo ti darà la mia anima con la sua bocca

i suoi sensi, le sue mani, il suo abbraccio

Prenditi la mia allegria

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Foto dal web

 

Prenditi la mia allegria

te ne faccio dono

in questa scatola

cosa vuoi che me ne faccia

oramai

e poi è pesante da portare

in giro

da una casa all’altra

 

Prenditela pure, davvero,

non fare cerimonie

puoi sempre buttarla

il giorno dell’umido

oppure trovare qualcuno

che la voglia ritirare,

in fondo ha diversi anni

sul groppone

è quasi modernariato

 

Prenditi la mia allegria

prima che la getti

in strada

ché magari scivola

qualcuno

e mi manda gli avvocati

al culo

 

Prenditi la mia allegria

è un po’ stupida

ma può esser di compagnia:

in certe notti

tiene alto il morale

in certe altre

spinge a fesserie

non sta mai muta

lei

 

Prenditi la mia allegria

che è il mio scheletro

la mia corazza

la mia spina dorsale

il mio scudo

io non voglio più nulla,

solo camminare

senza badare a questo o a quello,

senza ridere come un ebete

per quella ideuzza

che mi rigiro in capo

per quella battutina

che poi ti volevo raccontare:

a che mi serve questo fogliame

che svolazza nel cervello?

 

Tu non lo vuoi più sentire

e io me ne devo disfare.

Te la lascio nella scatola,

prendila,

e se vuoi essere buona

gettala a mare

questa mia allegria inutile,

falla affondare

tra le onde giocose,

fai che l’accarezzino

come si sfiorano i capelli

di chi si ama,

fai che la corteggino

come si danza agli occhi

di chi si vuole,

andrà in basso presto

perché in fondo è pesante

questa mia allegria

te lo dice chi per questi anni

se l’è portata indosso.

Previsioni storiche

mag

Quando tra secoli gli storici, infilando i guanti come prevedeva Gomez Davila, dovranno mettere le mani tra il cumulo di sperma e sangue che compone il mondo odierno e, spostando strati e strati di robaccia, dovranno ficcare il naso nelle faccende italiane battezzeranno questo lungo, estenuante declino come “epoca veltroniana”, riconoscendo in Veltroni l’artefice e l’alfiere della dis-cultura che domina e impazza tra tutti noi, pure tra quelli che hanno a malapena idea di chi sia Veltroni o addirittura lo odiano. Gli storici attuali, sbagliando, blaterano di epoche berlusconiane, fra un po’ diranno di fasi renziane, ma in realtà l’unico vincitore è Veltroni, portatore di una Mediocritas inter pares che lo incorona autentico demiurgo dei nostri tempi.