LUCIANO CANFORA – IL PAPIRO DI DONGO ovvero L’UNIVERSALE GUERRA CIVILE UNIVERSITARIA

   La prima idea che passa per la mente chiudendo “il Papiro di Dongo” di Luciano Canfora è un banale e demagogico: ma allora non è cambiato un fico secco? Uno potrebbe nobilitarlo riprendendo l’Ecclesiaste, ma perché non lasciare che termini più correnti rendano la carica di stupore e fastidio provata alla fine della lettura? Canfora ha ottenuto uno dei primi scopi dello scrivere, che sia storia, letteratura o manualistica, il dispiacere per la conclusione, il guardare con un certo timore lo strato di pagine che si accumulano sempre più sotto la nostra mano sinistra e l’assottigliamento dei fogli sotto la destra. Dispiace di arrivare alla fine della vicenda, ma d’altro canto Canfora è coscienzioso, conclude seguendo i protagonisti fino alla loro morte, di più non si poteva chiedere, pur balenando, per accenni o più, immagini del dopo e degli eredi (a volte indegni). Dobbiamo dire che è molto meglio di diversi libri di storia che ci capitano sotto le mani in questi anni: in particolare il panorama italiano è funestato da una imperizia narrativa che porta gli storici ad essere convinti che si possano accostare date, schemi, un paio di citazioni virgolettate, sommergere di note, ed ottenere qualcosa di leggibile anche al di fuori dell’ambito accademico. Il risultato è che da fuori non ci si accosta neppure con un bastone e da dentro lo si ordina per la biblioteca di facoltà, ma lo si preferirà sempre citare per interposta persona, perché la voglia di leggere quel malloppone insipido non potrà mai venire. Il Papiro di Dongo si legge e rilegge con piacere e saltare anche solo una riga sarebbe un peccato mortale.

Goffredo Coppola

  Ma cosa dunque non è mai cambiato? Dicevamo che per quanto riguarda lo “scrivere di storia” Canfora rappresenta anzi un cambiamento, o meglio, un ritorno alla buona arte dello scrittore di eventi ed indagatore. Tutto è uguale nell’immutabile adesione della università italiana alla sacra scuola del voltagabbanesimo, una religione messianica e salvifica, dunque, come insegnava il pazzo di Röcken, per schiavi livorosi e mediocri aguzzini. Quando leggiamo di come, a fronte di gente che pagò con la vita l’aver aderito in toto a certe ideologie (Coppola) o di gente che fu sempre confinata e finì  dimenticata se non per essere denigrata (Norsa), certi figuri (Vogliano) galleggiarono con agio tra i marosi della guerra, continuando a mantenersi in pieno servizio nonostante certe manifeste carenze tecniche e caratteriali, ecco che guardiamo al mondo accademico odierno con minor biasimo; in fondo non si tratta poi davvero di una grande degenerazione: come questa italietta nata sopra invasioni e bugie, risorta sopra esecuzioni e rinnegamenti, così l’edificio universitario ha sempre accolto nel suo seno il veleno. Se si è morsi da certe aspidi terribili si deve procedere ad amputare, ma, se per il gioco dell’assurdo che domina il mondo, è il veleno a comandare nel corpo ed è il sangue ad essere in minoranza, ecco che si secano le membra sane e si lascia proliferare l’infezione. Se a questo si aggiunge il tracollo progressivo dell’insegnamento (da una università di pochi ad una erronea formulazione del concetto, certo originariamente elevato, di dare a tutti la possibilità di accedere –per meriti- alla istruzione) e l’astiosità di certa docenza più vogliosa, come qualche imperatore, secondo nomea, di lasciare successori peggiori perché seminassero il terreno del buon ricordo dell’antico maestro, ecco che il quadro odierno non pare più uno sviamento dalla retta via, ma la naturale conseguenza della fioritura di quel boschetto ricco di “stecchi con tosco”.

Medea Norsa

Il sospetto è che a Coppola lo “salvò” la morte violenta: fucilato tra i gerarchi di Dongo. Certo molto più abile e capace di Vogliano, ma a sua volta contaminato da quella idea di prevalere che è solo figlia del desiderio del sopruso; facile immaginare che se il mondo fosse andato in modo inverso Coppola non si sarebbe risparmiato strali e sputi sopra la Norsa, così come Vogliano.

Lista dei gerarchi fucilati a Dongo. Il primo in alto a sinistra è quello di Goffredo Coppola

Medea Norsa è la vittima reale della intricata vicenda narrata nel Papiro di Dongo. Non ebbe mai i riconoscimenti che meritava, passò numerosi guai per la sua origine ebraica (per parte di padre),  lavorò dapprima schiacciata dalla pesante ombra del Vitelli e poi estromessa da giochi di palazzo, fino alla relegazione, malata e disillusa, in un convento a Firenze. Scampata ai bombardamenti, alla persecuzione, ai rastrellamenti, Medea Norsa non vide mai in Italia riconosciuto il suo reale valore, stimata all’estero e ricordata come una delle studio di papiri più importanti al mondo, non riuscì mai ad avere una cattedra universitaria e dovette subire, anche negli ultimi anni, numerose umiliazioni ed un progressivo isolamento. L’opera di Canfora è in fondo un sentito e sincero atto di riconoscimento dei meriti di questa grande studiosa e una forte denuncia della ingiustizia del mondo accademico e non.

   Il Papiro di Dongo è un giallo in fieri, rimane un barlume di speranza che qualcosa in futuro possa ancora spuntare, un incartamento, un archivio  non accessibile, plichi acquistati da qualche rigattiere. La guerra civile universitaria, durissima, tra persone ora capaci ora inette, in un mondo che crollava, dove i contendenti non erano tanti ma agguerriti e i posti pochi (ma mai come oggi, dove la riduzione, insegnano gli eventi, affetta più i capaci e deboli degli incapaci e protetti.

  Un solo appunto ci sentiamo di fare, Luciano Canfora, pensiamo semplicemente perché è argomento che esula ed è trattato corsivamente, sembra prestare una certa fede alla cronaca della morte di Mussolini del colonnello Valerio, in realtà la storiografia più recente ha ribadito le moltissime falsità del racconto, costruito ad arte per descrivere una fine meno “truculenta” per gli amanti di Giuliano di Mezzegra e per sorvolare a piene mani le dimostrate (i decenni di distanza aprono molti archivi) pressioni straniere, in particolare del governo inglese, per l’eliminazione seduta stante di Mussolini in caso di cattura.

Fucilazione dei gerarchi a Dongo