Tenetevi il vostro tribalume d’accatto, i vostri tam tam epilettici, le vostre congregazioni di beoti con gonnellini Wakaputanga, stringetevi ai petti i vostri didgeridoo e il vostro Djembe, baciate gli altari delle messe rock e i localismi no odio no differenze, giocate con i colori in serie sporcando carta e tela, esponete il vostro nulla impresso con sbalzi di luce e ammiccamenti al modellume porno soft, dedicate le vostre grida di giubilo alla pappa riscaldata e inseguite le serate vip, la passerella shock, i festival chic e gli eventi imperdibili tra trampoli, bavette e birretta a fine serata. Fate tutto quello che vi pare, ma non rompete i coglioni e vedete di stare a distanza da me quando vi imbarcate in discorsi su “arte e cultura” perché voglio evitare di rompermi le mani a forza di spaccarvi la faccia. Tutto è bello tutto piace, per voi, io vedo il bello ed il brutto e ve lo grido pure chiaro, voi cullatevi nel vostro sogno di semplicità artistiche e di siamo tutti bravi e geni in cuor nostro, al vostro spirito del “sono un genio ma la gente mi tarpa le ali”, no, siete dei fessi e la gente vi serve come scudo per non passare troppo tempo da soli con la vostra mediocrità… cosa che non sareste in grado di sopportare.
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Io sogno
Io sogno musei virtuali, grandi schermi luminosi dove scorrono le immagini ad altissima definizione, magnifici e lisci specchi, splendide arcate dove compare ora un volto, ora una mano, ora un dito, superfici tattili dove ti pare di sentire l’increspatura microscopica del colore d’un Raffaello o i crostoni a rilievo d’un Van Gogh, stupefacenti bombardamenti sonori e visuali, ipnotiche ricostruzioni in tre dimensioni, biografie condensate, una ditata ed ecco i documenti, altra ditata ed ecco le foto dell’artista con la famiglia, due dita ed ecco l’ingrandimento del frammentino, sogno tutto questo e le masse felici in fila, le masse che corrono a vedere, toccare, leccare, annusare e i musei tradizionali vuoti, così che io possa vedere con calma dipinti, statue e ogni altra cosa, senza sorbirmi file con i panini, guide che dicono stronzate, gentaglia che si raggruma davanti ai pezzi forti e parole, parole, parole…
E di come ogni Stato sia Stato senza mai essere Stato … astrazioni sul Lotto.
Che poi devo confessare, lettori miei, come io fatichi a non provare fastidio per i musei: son luoghi dove le arti sono tenute a guisa di prigioni, dove si respira aria di famiglie dilaniate, di pargoli strappati alla pietra originaria del seno materno (nel caso di affreschi lo “strappati” dice tutto) carceri o alla meglio asili di fortuna, dove ogni cosa viene incolonnata ad uso e consumo, dove, a seconda della Mercuriale dei tempi, schiere di sarti ritagliano spazi e spezzano atmosfere, privando i colori di una loro sostanza, le architetture di un loro senso, gli intendimenti d’una loro bussola. Con fastidio talvolta mi aggiro tra questi disperati, ma ne comprendo la necessità e abbozzo, certo godendo del fare raffronti che altrimenti avrebbero necessitato memorie ben più forti, per così dire antiche, di quelle che riempiono oggi le teste.
Sullo Stato dello Stato, quando è Stato e come è Stato… ignora l’arte e mettila da parte.
Frans Francken il Giovane
Tanto è basso il grado della cura di chi ci governa per le cose antiche e tanto è lo spregio dei loro scrigni detti musei ch’ogni italiano, colto dalle profonde ferite, toto corde si precipita a scriverne, con lagna e alte grida, per tutto codesto orbe intelato, e così ad andare per molti musei ci si trova spesso soli giacché, a differenza di noi scriteriati e dimentichi di tutti questi orrori, il gran numero delle genti non trova tempo di frequentare le molte e molte stanze perché perderebbe la novella bega e si asterrebbe dal rintuzzare a forza di rimbrotti lo Stato traditore.
Perché il film sopra Maometto dovrebbe finire in un museo OVVERO l’ipocrisia del mercato dell’arte moderna
Han-Wu Shen, Bloodline