Traguardi d’arte (Da Un Marziale non a Roma)

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Dissacrar queste bell’ arti

spacciandoti per lor figlio,

tu sei la Nemesi, i Parti

per i Romani, il Giglio

incoronato per gli Almanni!

Filosofo portator di malanni

sfiancator di versi sghembi,

fai il parco ma infine azzanni

ogni cosa, t’attacchi ai lembi

della tovaglia e tiri e strattoni.

Elfi, Tragici, contadini tutti buoni

per cavarne fuori la tua moneta

e se cade soldo non senti ragioni

ti getti a muso basso, oh Poeta,

poeta fiscale, poeta aritmetico

innalza la tua voce, un emetico

sei per gli stomaci educati,

sei il filosofo petopatetico,

assilli e affanni noi disgraziati.

Il frusciar di pagine t’è solletico

al volto, giammai vi ficchi sguardo:

arrivare alla fin del viaggio analfabeta

ecco, oh artista, l’estremo tuo traguardo.

Satriano morto che cammina (da Un Marziale non a Roma)

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Avevi il padre partigiano

in Svizzera.

Eri tutto egualitarismo ed operai

prepensionato d’oro.

Adesso sei Kippah ed Israele

da battezzato.

E ronzi attorno al parroco.

E speri in qualche occasione.

Satriano tu ci profumi

non lavandoti.

E ci rendi ogni giorno edotti

da analfabeta.

Inizio a sospettare che tu sia morto

poiché respiri.

Dar dolori al Sciur Lisander (da Un Marziale non a Roma)

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Ammazza che stronzata,

ma dove l’hai trovata

‘sta voja, figlio mio,

di far questo strapazzo,

scrivendo così malamente

turpitudini a razzo,

buttando ‘sto popo’ di niente?

 

Rilassati, passeggia con l’amata,

sciogliti, disciogliti, ‘na chiavata

conceditela, anche pagando,

che a tutti ci attende il palissandro,

il mogano, l’abete, il ciliegio, il pino,

dagli una bella scrollata, pensa al divino

scrittore, al Meneghino, all’Alessandro

come si accaniva, perfino il dì di festa

a limare il verso, la parola; paonazzo

lo faresti mostrandogli la mala scola

che sciorini con quella nota sola,

stonata e sbilenca, oh aspide in cesta!.

 

Pensa al Manzoni e non far più schiamazzo

procrea, moltiplicati, lancia in resta,

ricorda che disse lui un giorno a quel ragazzo

che gli domandava della differenza funesta

tra la riuscita pagina e il frutto dell’amorazzo,

“perché l’arte mia la feci usando testa

e i figli invece oprando sol col cazzo”