Fa bene e male leggere il libro della Mercuri. Da un lato si comprende quanto quelli che definiamo “Francescani” (termine che d’altro canto avrebbe fatto orrore a San Francesco) siano cosa totalmente distante e diversa da Francesco e dal suo gruppo di seguaci, gruppo di gente un tempo facoltosa e certo colta. Viene voglia di andare ad Assisi, ammirare le bellezze, meditare presso la tomba del Santo, ma ci si chiede: e se mi si para davanti un frate? E se mi arriva il fraterello pasciuto con il suo discorsetto buono per tutte le stagioni e per tutti i climi politici? Se mi propina la sua cantilena molto convenzionale, all’insegna dei tempi che corrono e dei temi dove si accumulano i soldi, io saprò sopportarlo? Ignorarlo ma con garbo? O gli sputerò sui calzari, venti, trenta volta, scacciandolo. San Francesco si sarebbe allontanato, non vedendo speranza di vincerlo con l’esempio e l’insegnamento, se ne sarebbe andato (come allora), romita, praticamente espulso dal suo stesso Ordine, ridotto al silenzio.
Viene voglia di andare ad Assisi e vedere tutto quello che c’è di bello, compreso quanto probabilmente non avrebbe entusiasmato il Santo che perorava un mondo di semplicità e modestia, una chiesa piccina e semplice, costruita di materiale povero e deperibile, forse la Basilica e gli PseudoGiotteschi affreschi avrebbero suscitato una sua reazione di timore o forse no, in fondo non era né il bacchettone di certe tradizioni agiografiche, non era né il penitente perenne o il votato al tozzo di pane secco, non era il moralista che respingeva la donna fin con la vista, non era molte cose. Certo avrebbe chiesto chi raffiguravano quegli affreschi, avrebbe domandato chi fosse quel frate, diversi episodi non li avrebbe riconosciuti (perché non avvenuti, se non nella mente di Bonaventura).
Allora viene il dubbio, forse, in cuor mio, se devo per un secondo fingermi nel ruolo di chi giudica, condanna e perdona, forse quei frati che fecero fare tutto questo, pur se dietro vi era il volere di sancire un primato, pur se vi era il desiderio di costruire una Arca inviolabile per il prezioso corpo del Santo, prezioso anche per beghe e le offerte, forse dico questi li potrei perdonare, perché innalzarono quello che hanno innalzato (o meglio fecero innalzare) insomma hanno dato qualcosa di degno. Certo sputerei mille volte sui calzari di quelli di ora, sono impiegatucci, sono amministratori di basso rango, accumulano, si garantiscono la loro oasi ipocrita, costruiscono con dei mattoncini un rialzo dal quale, con le loro voci molliccie, pretendono di tuonare, voglio dettare ex cathedra la linea morale, loro che la morale l’hanno da decenni calpestata.
E questa è la parte buona. Davvero. La parte cattiva, il colloquio, il rovello, è chiedersi quanto Francesco fu Alter Christus, e non lo fu per la predicazione, neppure per le ferite, le stimmate, non lo fu forse (e in che misura? Ecco, in questo viene il timore maggiore) nel suo finire ai margini, lui ed i suoi compagni della prima ora, nel suo morire sballottato tra la casa del vescovo, il palazzo, la chiesetta e la nuda terra, cieco, piagato, sfasciato nel corpo, circondato dai pochi fedeli, mentre fuori impazzava già la disputa sulla Regola e i frati “dottori” mettevano le mani sull’Ordine e si apprestavano a cancellare perfino la memoria dei seguaci originari. Un Alter Christus anche in questo? Forse PROPRIO in questo? Ridotto ad un etereo un poco vacuo, staccato dal mondo e da tutti, incolto tra gli incolti, lui educato, conoscitore della poesia francese, circondato da giovani di famiglie nobili o di ricche famiglie di mercanti. E se fosse questo? E se l’averne distrutto la Regola fin dal principio, averne attenuato gli insegnamenti e le volontà, per azione di Papa Gregorio, con il corpo da poco sepolto, fosse il nucleo del suo destino di Alter Christus?.
In questo il libro può fare male, anche se forse il paragone tra il traviamento della figura in eterea, mentre l’altra è così umana e dunque più possibile, rispondente, forse offre ulteriore speranza.
Una lettura da meditare.