Quasthoff e Bocelli, due esempi di come le cose funzionino malissimo da una parte (la nostra) e bene dall’altra (Germania). Entrambi affetti da menomazioni fisiche, quelle che oramai, con un sottile gusto sadico da presa per i fondelli, si definiscono differenti abilità riferibili a soggetti diversamente abili, entrambi in attività (o quasi, Quasthoff si è ritirato da poco) nel mondo della lirica, l’uno un baritono di notevole finezza e capacità interpretative, l’altro un tenoraccio leggero sgraziato, sboccato e insulso.
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I MOZART DI IERI, GLI ALLEVI DI DOMANI, DIFFERENZE TRA METEMPSICOSI E UNGHIA INCARNITA ovvero ALLEVI Vs MAMELI. MOZART RIDE (pubblicato sul GericoSplinder in data 1 febbraio 2011)
In occasione dei 150 anni dall’Unità d’Italia quale cosa migliore di affidare ad Allevi la direzione dell’Orchestra Rai per eseguire l’Inno di Mameli? Uno spettacolo pirotecnico, tanto da stupirci che la ricca chioma dell’Allevi sia emersa intonsa ed integra. La serata torinese aveva tutte le caratteristiche del momento degno di strappare alla avara memoria dello specchio lapideo della storia il suo spazio per incidere, a caratteri cubitali, quel che è stato e sarà. Ora fossi divin gazzettiere di piacevoli e vezzosi concetti potrei elencarvi le soavità elegiache e i sopraffini slanci, l’ardore della conduzione di tal Laura Freddi che, leggo, sostituiva la Carlucci (Milly) per sopraggiunta indisposizione (un uccellino cinguetta “otite fulminante” e con l’otite è inutile presenziar nel tempio del divino suono), potrei elencare gesti e mani, sguardi e dita, vesti e cambi, riccioli e caschi pelosi, ma non sono gazzettiere e mi limiterò a dire che il Sig. Allevi non è in grado di dirigere. Non se la prenda, abbiamo altri casi illustri, penso ad esempio al tanto esaltato Dudamel, dalla misteriosa e inquietante somiglianza pilifera, e questi è caso assai più grave dato che, a differenza del nostro genio bambino, anzi infante, anzi nascituro, anzi spermatozoo, il venezuelano svolge la sola professione di direttore (d’altro canto non voglio promuovere alcuna identificazione tra i due dato che Dudamel, per quanto a mio parere non particolarmente apprezzabile, è certo professionalmente più inquadrato e, magari, maturerà col tempo).
In particolare al minuto e 57…
Allevi invece dice pure di comporre e suonare. Che suoni è fatto certo, che componga pure, sui risultati delle due azioni ci si potrebbe dilungare, ma è assai meglio stringere e limitarsi a dire che il suono è mediocre, ma mai quanto quel che viene suonato. Che poi il nostro stia andando ancora avanti con la divertentissima storiella della “rivoluzione musicale”, questo nostro lipsiense senza cappello (dove mai potrebbe trovare appiglio o appoggio?) , a cosa dobbiamo ascriverlo? Ripetitività? Mancanza di senso critico e del ridicolo, due sensi che coincidono nel presente caso e andrebbero messi in dotazione in sostituzione di altri evidentemente assenti o menomati. In parte penso sia un vezzo da ricondurre alla necessità di un marchio, di una firma, ogni tempo ha bisogno di questo, v’è quello che come firma ha la pennellata di pochi micron, chi ha il disegno poderoso, chi ha il genio della scrittura musicale e teatrale, chi ha i capelli a fungo, la finta timidezza d’artista distratto e la menata della rivoluzione musicale, ognuno ha la firma che riesce a conseguire, d’altro canto fossimo tutti Mantegna dove saremmo? Probabilmente morti e sepolti visto il caratterino del divin Andrea.
Per i 150 anni dell’Unità Allevi ha deciso di compiere nuovamente l’epifanica apparizione sul podio come direttore, dopo l’intensissima prova al Senato dove l’orchestra eseguiva, nonostante la direzione del nostro, ora Allevi ora Puccini (giovane quest’ultimo che si farà, almeno così pare, intanto pare che si svaghi assai tra corse in auto ed avventure galanti, ah questi compositori poco seri, poco timidi e poco rivoluzionari),
questa volta l’obbiettivo al centro del mirino è l’Inno di Mameli. Ovviamente il nostro, essendo rivoluzionario fin nelle più recondite estremità molli, non poteva eseguire e basta, cosa da sordidi e beghini direttori privi dello slancio vitale d’un rivoluzionario, ma ha dovuto infondere con un metodo maieutico a fil di bacchetta la sua joie de vivre (probabile prossimo titolo di uno dei tanto attesi album) alla orchestra che, composta come era da autentiche cariatidi e vecchi barbogi non sapeva levarsi e gridava musicalmente “portatemi una grue, non posso”. Ed il nostro con quella bacchetta pare proprio una grue.
Dovete sapere che per Allevi l’Inno di Mameli è come il Natale
“L’inno di Mameli, per me, e’ come il Natale, e’ qualcosa che fa parte della mia identita’ genetica. Mi piace molto”
Già sentiamo la forza in lui e le onde sonore che propagano da bulbo a bulbo. Gli piace molto e noi siamo assai felici di questo piacere suo, per parte nostra non condividiamo tale entusiasmo, ma son tante le cose che possono piacere e non piacere, il Natale già più ci aggrada, non fosse anche solo per i pasti degni d’un Apicio, i doni, il clima festoso e altre banalità che Allevi è molto più bravo di me nell’elencare.
“Dal punto di vista musicale, l’inno e’ pieno di slanci – ha detto Allevi – ha una melodia immediata. L’unico appunto che posso fare e’ che la melodia risulta troppo acuta e per questo la gente spesso ha difficolta’ a cantarlo“.
Il nostro genio in bottiglia non poteva che gradire i mille slanci, lui che è uno slanciato per natura (nella sua identità genetica, direbbe lui), ma certo non può mancare, da compositore di melodie eterne e con 2 diplomi, di notare il problema della melodia troppo acuta. Ora, scusatemi, senza che questo sia un mondo composto di mille Pippo di Stefano o che vi sia un Lauritz Melchior in ogni pargolo che vede la luce dei cieli italici, dire che la scarsa propensione all’Inno derivi dalla melodia cozza terribilmente contro il fatto che, almeno in occasioni ufficiali o di gioco calcistico, nessuno mostra gravi problemi nell’intonare o nel tentare l’intonazione, il problema, è noto, risiede più nel testo oramai agée, difficile da ricordare e in parte incomprensibile per la cultura media (espressione leggiadra con la quale si definisce il ben più triste e diffuso ignoramus). Ma essendo autore di musiche e non paroliere (almeno non ancora penso e spero) il nostro doveva puntare sulla melodia.
Provate ad indovinare come sarà l’interpretazione del maestro
“sara’ un’interpretazione molto energica e piena di gioia. Ma l’energia e la gioia sono elementi gia’ presenti nella partitura, basta lasciarli emergere da soli”.
Ovviamente gioia ed energia, tanto per continuare con la solfa.
La conclusione è un meraviglioso esempio di quel linguaggio privo di significato che è tanto diffuso ai nostri giorni, una sorta di supercazzola vagamente meno evidente, tanto comoda per districarsi in qualsiasi occasione. Infatti il nostro dice
“Sento la mia presenza qui come qualcosa di bello e di vero. Ho la possibilita’ di essere testimone di qualcosa di importante, di molto significativo”.
Frase che viene buona per qualsiasi cosa, dalla Breccia di Porta Pia alla sagra del Culatello, una frase molto Pro Loco o taglio del nastro. In questo però non vogliamo ascrivere la colpa ad Allevi, si tratta di un peccato tanto diffuso da non consentire più di individuare il colpevole. La gazzetta finisce dicendo che tutta questa gioia, slancio, vita, energia si riduceva, in pratica, in un tizio che si sbracciava facendo smorfie, una sorta di monologo affiancato da una orchestra che eseguiva per i fatti suoi. Se il nostro genio in pastiglia, maestro della rivoluzione minima e del pensiero assente, ha orde di appassionati che lo seguono per ogni dove poco ci cale, non significa nulla per quanto riguarda la qualità reale e, a conti fatti, sapete quanti malanni seguono come orde una banale infezione? Che il suo tour internazionale (Tokyo, Bottanuco, Amsterdam, New York, casa tua) faccia il tutto esaurito ci interessa ancora meno e ancora meno modifica il parere sulla qualità di interprete e compositore. Ameremmo che si allontanasse progressivamente nelle dichiarazioni dalle pretese nel mondo della classica (nei fatti è già fuori, nel senso che sfido chiunque a trovare qualcosa di classico in quella musica da ascensore) e ameremmo che la si piantasse di rifilarmelo tra i dischi di classica perché Albinoni – Allevi – Bach sulla stessa fila può provocare lo scorbuto, anche se si tratta di quelle catene di negozi dove il commesso, senza alcuna colpa, spesso non conosce un accidente del prodotto. Ameremmo molte cose, ma sappiamo che non possiamo pretendere e che una volta Horowitz suonava al concerto della Casa Bianca e oggi canta Bocelli, che una volta Bernstein teneva lezioni televisive riguardo Mozart
e adesso le tiene Baricco, che una lettura leggera e godibile su Mozart un tempo era il Viaggio a Praga di Morike, oggi rischia di essere il Mozart di Jovanotti, insomma i tempi mutano, decadono e tracollano, tutto questo sappiamo e ci ripetiamo ogni giorno picchiando la testa contro il muro (ma lievemente) quasi fossimo alle fondamenta del misterioso scrigno d’una divinità forse zoomorfa, mentre di zoomorfo oramai più che il sembiante è il cervello nei suoi aspetti più illetterati e inconsapevoli.
PS: il nostro in altri luoghi ricordava di avere appreso l’arte della bacchetta guardando sopra youtube dei filmati di Riccardo Muti. Immagino ora quanti pretenderanno, tramite visione di filmati, di avere appreso a cucinare, oppure di essere i nuovi Beatles o ancora il novello Siffredi Rocco… auguri.