Uno che ha scalato tutti i vertici fino alla sommità di una piramide che prevede uno e uno solo al potere e predica costantemente che “il voler far carriera e scalare i vertici” è male e non si dimette lui per primo, lui che al suo paese d’origine fece ben più che carte false per galleggiare e durante la decisione definitiva fece le pressioni che oramai son note
è un ipocrita
Uno che spiega ai cardinali che si deve non dare a vedere la ricchezza e confonde, come il più stupido degli stupidi, il simbolo con la sostanza, ma allo stesso tempo non rinuncia mai al suo pagamento e continua a campare da nababbo finto semplice, servito e riverito, limitandosi a quelle tre fesserie gesuitiche per dare ad intendere una semplicità che è proclamata quanto più è falsa
è un ipocrita
Uno che parla di aprirsi sopra, sotto, accogliere a destra e a sinistra, ma semplicemente spalanca le porte delle case altrui e le sue le tiene ben chiuse e guardate a vista da chi seleziona l’ingresso
è un ipocrita
Uno che predica di umiltà e semplicità, ma guai a chi contrasta le sue decisioni e che passa il tempo a trovare il modo per finire sui giornali e parla della sua azione come di rivoluzione
è un ipocrita
Buona cappa dorata
Dante, Inferno, Canto XXIII (gli ipocriti)
Là giù trovammo una gente dipinta
che giva intorno assai con lenti passi,
piangendo e nel sembiante stanca e vinta.
Elli avean cappe con cappucci bassi
dinanzi a li occhi, fatte de la taglia
che in Clugnì per li monaci fassi.
Di fuor dorate son, sì ch’elli abbaglia;
ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
che Federigo le mettea di paglia.
Oh in etterno faticoso manto!
Noi ci volgemmo ancor pur a man manca
con loro insieme, intenti al tristo pianto;
ma per lo peso quella gente stanca
venìa sì pian, che noi eravam nuovi
di compagnia ad ogne mover d’anca