RAI andata e ritorno

 

Nel 1978 i magnifici Panelli e Valori mostravano ironicamente cosa erano le televisioni private, una accozzaglia di programmini azzoppati, dove mezze svampite, amichette del padrone e finanziatore, si alternavano ad improbabili conduttrici. Il Palinsesto di queste reti locali era per forza di cose piuttosto ingenuo, telefonate del pubblico, dietologhe, l’immancabile gioco a premi di basso livello e lo spazio per i debuttanti che venivano a presentare la poesiola o la canzoncina, possibilmente con qualche lato boccaccesco.

Sarà solo una mia impressione ma adesso pare una parodia della attuale programmazione RAI. Mancano solo i tizi che si azzuffano perché all’epoca, anche sulle reti locali, non si usava.

MISTERO RAI ovvero COME PAGARE PER COSE CHE POSSIEDI

   La Rai è come la politica, ti obbliga a rischiare di scadere nella retorica e forse nel populismo, ma alla fine, a conti fatti, ti accorgi che hai solo detto quello che andava detto. Si parla molto degli sprechi, gli scandali, gli stipendi dorati, le incompetenze e le mancanze di quello che continua ad autodefinirsi servizio pubblico. L’essere meglio di Mediaset non è un titolo di vanto, chiunque oramai potrebbe esserlo, ma la Rai si adagia sopra questa convinzione, si assopisce come sopra un comodo cuscino e sonnecchia, sicura del canone, delle protezioni e degli introiti, sempre e comunque. Il carrozzone Rai è un turbinio di spese inutili, raccomandazioni e inefficienze. Non scopro nulla di nuovo. Ma ci tengo a sottolineare due casi emblematici, due casi dove i fondi che potevano essere impiegati in altro modo sono utilizzati, inspiegabilmente, male. A costo di essere tacciato di passatismo, quali accidente di ragione c’era per rifare Eduardo se avevi già Eduardo e rifare Nero Wolfe se avevi Buazzelli? Possibile che la Rai non potesse investire denaro per restaurare quello che andava restaurato, magari ponendo fine alla vergogna di un archivio che, anno dopo anno, si logora e viene dimenticato, e far produrre quello che non possedeva. No, la Rai doveva spendere per qualcosa che non serviva.

Non mi si tirino fuori menate sul bianco e nero o sulla necessità di rinnovare. Nessuno dei due prodotti citati è rinnovato. Le commedie di Eduardo con Ranieri sono molto al di sotto delle versioni originali (poteva essere diversamente?) e inficiate dalla pretesa di italianizzare Eduardo, accidenti a voi!, quando Eduardo è comprensibilissimo in Russia, figuriamoci in Italia. Tutti sanno che il napoletano di Eduardo è già un napoletano teatrale e che da grande animale da palcoscenico, abituato a doversela guadagnare la serata, Eduardo scriveva pensando a tutta l’Italia. Le commedie di Eduardo si comprendono senza alcun problema, dove non arriva il lessico arrivano gli attori, al massimo, ma non c’era ragione, si potevano aggiungere delle noterelle lessicali alla base delle immagini, ma ripeto era fatica sprecata. E così la Rai non tira fuori quella meraviglia di collezione con Eduardo, Pupella Maggio, Ugo d’Alessio e tanti altri, preferendo investire per far mettere in scena a Ranieri ed altri, rilavando i testi in Tevere (perché è italiano della televisione e dunque romano, comunque e sempre), con risultati mediocri, anche in presenza di grandi attori (la Melato ad esempio) nettamente fuori ruolo e fuori registro. La cosa si ripete con Nero Wolfe.

Bistrattato, messo in scena in maniera un po’ sgangherata, con interpreti che vanno bene, non lo nego, per una serie come Boris, dove è la parodia più estrema a dominare e dove  eccedere è da copione, ma completamente fuori fase nella resa degli sceneggiati tratti da Rex Stout. In particolare è il duo principale a uscirne malconcio. Pannofino è un ottimo doppiatore, ma come molti doppiatori professionali (dove una volta erano attori di teatro che arrotondavano) messo alla prova come attore cede e memore del suo successo in Boris restituisce un Nero Wolfe estremo, sguaiato, tutto smorfie, forse con una resa che avrebbe avuto senso in radio, ma sullo schermo non si può vedere. Pari discorso per Sermonti, pure prima di tutto attore in teoria, che esce con le ossa rotte, con quella recitazione ad eterno sospiro che ha preso piede stabilmente in Italia e che porta a sospettare grosse pecche. Se per i due doveva essere un modo per liberarsi del marchio “quelli di Boris” hanno attualmente fallito, hanno trascinato in Boris Nero Wolfe. Quale bisogno c’era di investire soldi in queste parodie dei piccoli gioielli Rai? Quale strano morbo obbliga il servizio pubblico a impiegare i soldi per mettere in scena ridicole nuove edizioni dei suoi classici? Il bianco e nero è una scusa (a parte che di Eduardo hanno pure cose a colori) anche perché la gente non si spaventa certo al non vedere colore o pensano di avere a che fare con un pubblico di minorati? In realtà è che si vuole costituire giri, dare lavori, far passare denaro, ma senza doversi sforzare particolarmente. Alla base c’è ancora l’errore primigenio, l’abdicazione del proprio ruolo per rincorrere Mediaset, quando, come ebbi già modo di scrivere, la Rai doveva mantenere una politica di bassi costi e bassi stipendi, lasciare che i grandi personaggi andassero a farsi riempire di milioni per fare porcherie, diventare palestra per i giovani talenti che ancora nessuno voleva e conosceva, un vivaio. Parallelamente sfruttare il suo archivio al meglio. In seguito sarebbero tornati i grandi nomi, una volta foraggiati dall’altra rete, perché lavorare con la Rai avrebbe voluto dire lavorare per la qualità. Pensate solo agli, oramai pochi, bravi attori di teatro, pensate che nei periodi di stanca non avrebbero gradito una entrata e della pubblicità lavorando per la Rai? Invece no, inseguimento del pattume, svenamento delle risorse. Ancora oggi la Rai non riesce a capire la sua strada e pur quando in apparenza punta a cose buone, classici, cose godibili, si impiccia in problemi elementari, dimenticando che la letteratura è piena di cose da mettere in scena e mai viste prima di ora e che i gioielli non si sostituiscono, si lucidano al meglio e si sfoggiano nelle serate importanti, il loro valore non cala mai, anzi.