Il segreto d’un successo

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Più sento parlare i rappresentanti (votati e votanti) del M5S e più capisco che è un mix di tutto, c’è l’ottusità di certo veganesimo sciistico, l’ignoranza casereccia della Lega d’antan, il politburismo della vecchia guardia, il cazzeggio pseudoliberista alla Forza Italia, il baciapilismo con esenzione del Pd, la disinformacija interna esterna del glorioso blocco, il pressapochismo scolastico da 6 politico, l’andirivieni radicale, un certo squadrismo te ricordi me ricordo, il superomismo uno uno, il culto del capo che adesso può pure diventare il culto della salma, il gadgetismo da serie televisiva sul presidenzialismo made in Usa (presidenzialismo made in USA che oramai subisce, a sua volta, l’influenza della visione cinematografica), un certo “in galera” del dipietrismo-legaloide segaiolo del monetume capocciocraxiano, il moralismo sornione e con sorriso e buona la prima del veltronismo, il teoretico in potenza arraffa arraffa socialista sono appena arrivato e mi dite che il buffet chiude tra 5 minuti, il ghignarigno hitleriano post trionfale “quelli che ridevano di noi mo’ non ridono più”, l’inutilità vegetativa e d’accumulo di certe forze minori tipo i repubblicani, un verdismo nuovoenergismo taoista ayurvedico rettiliano che fa un po’ vecchi Verdi e un po’ nuovi Stronzi. Capisco il successo.

Urgenze meditate

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No, tipo che diamo il culo alla Turchia (questa frase è nella categoria “lo dico piano”) e che quanto è bella la Turchia, la vogliamo in Europa, diamo i soldi alla Turchia, ci vuole bene la Turchia… sai, la Turchia, quella sempre più teocratica, sai, la Turchia, quella dove opposizione svanisce, assaltano giornali non apprezzati dal capoccione, ma noi tutti baci con lingua, tutto ancora ancora mettimi la monetina  nel perineo, pastorizzami lo scroto Erdogan, forza, di più, ora più docile, frustami smandrappona turca, insidiami con il codino del Fez, pezzo di Fez l’anm e chitemmuort, Erdobuono, ErdoGutt, it’s no good, spero… it’s no good mentre ti fistano con Ottomani il deretano, per parlarti in faccia, e dicono “eh Erdogutt, it’s no good, qui c’è qualcosa, non è normale, lei mi cala di peso, avrà mica fatto qualcosa contro il libro?” e tu ma no, ma sì, chiami mia moglie, quale, non la troviamo, son tutte coperte, chiami il mio medico, voglio andare fuori, a Nueva York, clinica Fate Bene Band of Brothers… trascinatemi, il tavolo operatorio, ma rivolto giusto, c’ho il GPS, guardi, i gradi, metta bene… signore, ma le dobbiamo smanacciare il culo o le pariamo la sala operatoria per il giorno di festa… ma io credevo.. eh credevo, zitto e dorma.

E poi ti apriranno Erdy, davvero, me lo dice l’angioletto, ti apriranno e, mammina li turchi, che brutte robe che ci trovano, anni e anni della merda che non dici, perché di merda non ne dici tanta, davvero, e che pensi che siamo fessi, di merda ne dici nulla, niente, nisba, sono più i non detti, poi ogni tanto ti scappa un “chiuderei tutto” o “pure quello era un gran politico”, ma sono più i non detti, dannata vita del dittatore democratico che aspetta la promozione europea. Se le dici troppo grosse quelli poi come fanno, è vero che We the people non conta un cazzo e che la democrazia è bullshit, ma le apparenze ancora ancora… almeno una ventina di anni ancora, insomma ci rallenti il progresso europeo tu con il tuo culo aperto a Nueva York a rimirare le stelle, Erdy, accidenti, vorresti dirle tutte, me le tiri fuori, dottore, le merde, tutte fuori, mi liberi, mi salvi… e poi come facciamo? L’Europa val bene una merda. E poi i contributi, i soldini, così poi li rigiri agli amici degli amici, loro petrolio a te, tu armi a loro e avanti, fino a che morte non vi separi…

Riflettere (Frammento della prima parte della Trilogia)

marchande_de_fleurs_a_londre-largeJules Bastien-Lepage, Marchande de Fleurs a Londre, 1882

Quanta è la gente che confonde il riflettere con il pensare e crede che sia solo una lieve sfumatura a dare questo o quel nome, e che la riflessione sia giusto un pensiero che ricade sopra la propria stessa natura, quasi non filtrasse il nostro corpo perché opaco e inattraversabile. Non è così, in queste lunghi pomeriggi, rinchiuso nella semioscurità del mio mondo sono giunto infine a cogliere la sostanza di quella che ha il diritto di essere chiamata riflessione: essa è una visione ribaltata del procedere comune, del quotidiano, alla tesi imperante contrapporre un volto girato, un cambio di verso e senso; rifletti il tuo volto, guarda le tue cicatrici e ogni tua espressione allo specchio, vedrai qualcosa che è opposto al tuo banale quotidiano, riconoscerai l’opposto di chi è uso al tuo aspetto e così riflettere sarà stravolgere fino alle più estreme conseguenze il vivere comune, il pensiero dal volto immutabile, tu sei lo specchio, tu sei la spada, scindi d’un colpo netto uomini e cose e restituisci ogni significato al suo luogo e poi rovescia la cesta e spargi ogni cosa al suolo.

TRILOGIA, PARTE I

Abbiamo orrore delle celebrazioni, la putredine abbracciata di lauro, le lapidi imbrattate di fiori, abbiamo orrore delle coccarde dispiegate a premiare il più bel cadavere del cimitero, di questi concorsi di bellezza postuma abbiamo solo da dire il nostro ribrezzo, gli alberi secolari se morti vanno secati, frantumati, schiantati e sbriciolati, le loro braccia invocano il martirio, le loro gambe invocano il cauterio e poi il filo sottile che le sezioni, invece si presentano le mostre, i decennali, i trentennali, le secolari scempiaggini di un morto che non è lasciato morire, neppure nella tomba il nome trova la sua pace che è solo nel discioglimento, invocare è strattonare lo spettro e trascinarlo in catene per le vie cittadine sopra il carro del Trionfo delle nostre false vite; schiacciare il suo volto o le orbite vuote (più rapide ad accogliere e trattenere) contro la superficie del quotidiano o del straordinario. Voi pensate che al di là della morte vi siano distinzioni come tra voi, di quello che vi pare incredibile i morti non sanno neppure che farsene, del quotidiano figuratevi voi, ed invece vi ammirate nel disseminare le teche dei guanti da riposo, delle lenti da indagine, dello stivale da saltello, le prime edizioni, le ultime edizioni, i titoli ed i controtitoli, le maschere imbellettate, le foto ritagliate a dare una parvenza di quello che non è mai stato, la pioggia a coriandolo di motti e detti, fino agli inganni ultimi delle estreme parole.

 
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Non troverò la morte e la troverò ed è questo mio non ondeggiare, dato che sono un palo infisso sul limite della meta, a seppellirmi d’amarezze e dolore. Tutto la mia esistenza assume contorno e sostanza solo nel suo decomporsi quale cosa passata e quale cosa passata anche le mie Morte assumono figura e materia: vivono nell’essere vissute e la consapevolezza d’essere uno spazio compiuto e concluso le eleva al di sopra della immaterialità di quello che amiamo canzonarci come presente, le rende solide quasi come statue, monumenti, eppure ancora più durature delle illusioni dell’uomo. Questo forse è uno dei grandi tormenti, noi non sentiremo mai d’essere reali e vissuti perché la pura consapevolezza verrà a noi quando già avremo chiuso i sensi e gli occhi, quando la bocca sarà stetta e inviolabile perché dopo l’ultimo respiro non possa sgusciare parola tra le labbra.