PREGO, CI ELOGI

Thomas Moran, Slaves escaping through the swamp

 

Prego entri, si sieda e ci elogi

eccole il libro delle partecipazioni.

Perché mai dovrei a dei barbogi

come voi destinare acclamazioni?”

 

Non si dice sempre che il tempo è poco

e la sete è molta e così a dissetarsi

si deve impiegare quel lumicino fioco

che per un sol vento può disfarsi?”

 

Ma l’invito, caro mio signorino bello,

era perché lei apprezzasse il nostro dire,

perché rimpinguasse il nostro cervello

 

di quelle lodi che mai saranno abbastanza,

perché se dovessero finire noi allora…

ma insomma, si alzi, se ne vada, lasci la stanza!

Perché il film sopra Maometto dovrebbe finire in un museo OVVERO l’ipocrisia del mercato dell’arte moderna

Han-Wu Shen, Bloodline

Se dovessimo credere al vocio dell’arte come evento, come impatto, come stravolgimento di qualche situazione pregressa, senza che tecnica, gusto, capacità e doti abbiano a che fare con tale discorso (questa è una vulgata che oramai comanda e dispone nell’arte contemporanea) e dovessimo pensare in buona fede questo genere di riflessioni e non, almeno al principio, ad una congerie di trucchi sorti per giustificare l’invasione di mercato di emeriti incapaci e di mezze tacche, allora non potremmo che concludere in questo modo: il famoso (vox media) filmetto dedicato a Maometto è arte, anzi, dovremmo dire che è la cuspide, la sommità dell’arte e che certo è l’opera d’arte più importante di questo giovane secolo. Pare che il film sia una porcheria e che dimostri di essere frutto di una realizzazione amatoriale della peggior specie, non ho idea se sia così, non l’ho visto e neppure ho interesse a vederlo, ma resta il fatto che se dovessi applicare i dogmi dell’arte contemporanea questo prodotto andrebbe collocato nei musei. Se non è impatto e stravolgimento questo? Ovviamente dobbiamo supporre che le rivolte di questi giorni siano davvero scaturite da questo misterioso film, finanziato da misteriosi copti, organizzato da un misterioso israelo-americano, tutti dati talmente fumosi ed incerti da invitare ad una estrema cautela. Eppure la storia dice che questa è la scintilla, la scintilla che ha generato una deflagrazione tale da gettare nel panico alcune superpotenze, far ammazzare un ambasciatore americano (ironia della sorte, personaggio più favorevole di quel che si creda all’islam, anche nelle sue versioni meno accondiscendenti) far saltare per aria sedi, far chiudere altre, blindare edifici e così via. Allora dico che il mondo degli “artisti” e mercanti d’arte contemporanei si faccia sentire, che il Moma esponga dei mega schermi proiettando, notte e giorno, codesta porcheria. Si diano copertine sopra riviste d’arte e che una copia venga votata per essere conservata eternamente come bene artistico fondamentale. Si badi bene, tutte manovre che io, vecchio retrogrado, classista, un po’ reazionario, ancorato a concetti oramai sorpassati come doti, abilità, tecnica etc.. non farei mai, ma infatti questo non è un appello a me stesso, è un appello a quella società civile/artistica (spesso si ama fregiare di entrambi i titoli) che mi pare sia piuttosto silenziosa o quasi assente, davanti alla manifestazione di un “evento artistico” di portata mondiale. Troppo comodo, altrimenti, cari profeti dell’arte del gesto e dello scandalo, incoronare una cantantucola che si veste di carne o che spinella sopra un palco, o si veste come una abat-jour, troppo comodo, dico io, correre dietro alle inerti, inermi e pacifiche masse di allucinati che si calpestano per un biglietto o un autografo, non vorrete certo paragonarmi, come impatto mondiale, una tizia che vende dischi e ha concerti di grande successo, con una ciofeca che scatena l’abisso? Altrimenti mi dovrete dire, cari adepti dell’arte evento, che il vostro è un bluff, che lo fate solo per incasso e non vi volete tirare addosso guai, l’arte la pescate dove è comoda, lo scandalo dove si tratta al massimo di qualche titolo di giornale contro e un paio di manifestanti con un cartello, dove c’è sangue, morte, assassinio, voi non la seguite questa vostra arte, fate finta che non esista.

LETTERE DAL CARCERE

Antonius Lucretiae Sal.

Tra qualche giorno, come sai, ho in programma di trasferirmi nella mia villa vicino alla capitale. Certamente riprenderò senza indugio tutta quella lunga e complessa infinità di lavori e obblighi che mi terranno in cammino dalla mattina alla sera, ma non mi strapperanno comunque ai miei scritti che, per mia fortuna, sanno seguire fedelmente le orme del loro padrone. I compiti che mi attendono sono comunque lontani dal riguardare questa repubblica che sempre più vedo allo sfascio e alla fine. Sai bene quanto ho creduto alla sopravvivenza di questo Stato, anche nei momenti di maggiore incertezza, ma oramai il tempo ha scritto il nuovo corso, il dittatore è stato imposto, le magistrature diminuite, il popolo assopito. Anche il desiderio di alzare la mia voce contro tutto questo è oramai indebolito dal timore: vedo infatti come i senatori siano impegnati in un gioco di fazioni, ora a sostegno ora a detrimento di chi detiene il comando, ma di gioco si tratta appunto e non di realtà, istruito per rendere il potere di uno solo più sopportabile a loro stessi e agli altri, così mi sottraggo a tutto questo per non sembrare partecipe e relego le mie lamentazioni ai pochi amici e a queste lettere affidate a mano sicura.

Manlio mi scrive che la sua salute è oramai tornata al suo stato comune e sembra quasi incredibile, tutti lo davano per perso, tranne tu che seguitavi nel provare una inspiegabile speranza. Noi lo piangiavamo e lui ora già passeggia per strada quasi senza alcun segno della malattia e, a detta di Quinto, pare letteralmente rinascere. Quinto invece non può dirsi tanto fortunato. Andrò a vederlo appena arrivato alla villa, ma temo che non lo troverò meglio dell’ultima volta, gli anni di sofferenza lo stanno segnando e i medici non hanno molto da dire che sia di consolazione o almeno dia qualche certezza, fosse anche negativa; in certi giorni è ammirevole, il suo intelletto non è colpito dal male, salvo per quella opacità dettata dai momenti di maggiore sconforto, ma il fisico non lo regge e progressivamente si trova sottratto al mondo.

Per parte mia godo di buona salute, i momenti di tristezza sono brevi e rari, nonostante la massa di avversità che galleggiano sopra la mia testa, e tenterò di mantenermi tale anche nella frenesia della capitale; conto di rifugiarmi nelle letture, in alcuni libri che richiedono di essere scritti e nell’arte. Scrivimi presto, scrivimi molto.