Luca de Filippo (1948 – 2015)

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Se ne è andato Luca de Filippo. Vincenzo de Pretore ha esalato l’ultimo respiro, il piccolo Peppiniello, con la bocca senza dentini, non corre più gridando che Vincenzo è suo padre, Tommaso Saporito ha smesso di attendere la carcerazione del fratello per vendersi quelle quattro sedie scassate, Nennillo è morto. Con Luca de Filippo non scompare un attore ed un uomo, svanisce una dinastia, Scarpetta ha fondato, Eduardo ha governato e ampliato, Luca ha ereditato e conservato… non tirateci per la giacchetta ricordandoci che vive Luigi, figlio di Peppino, si tratta di strade differenti, rami dinastici che sono andati divaricandosi all’infinito.. e ora? Ora lo smarrimento è pari al terrore. Si chiude il pesante tendaggio sopra una scena che non avremmo mai voluto smettere di vedere. Devo confessare che ora, almeno per i primi tempi, la casa di Luca Cupiello mi parrà strana, vi agiranno presenze inquietanti, sarà come vedere uno spettacolo di ombre e fantasmi, Napoli diventa Bly, la casa risvegliata dal Natale alle porte pare in preda ad una evocazione dall’oltretomba e Nennillo, a occhi stretti stretti sotto le lenzuola, tanto stretti che a volte, vinto dal tepore, cadeva per davvero nel sonno, ora mi parrà uno spettro evocato da spettri, forse uno spettro che si illude di essere vivo e resta protetto dal lenzuolo ora sudario. L’incantesimo è potenziato, Pupella, Eduardo, Luca (Pietro de Vico prima), Maringola, tutti svaniti, e la Sastre è una Miss Giddens che tra gli spiriti vive e lotta, strattonata e contesa. Poi, il tempo, cambierà la sensazione, forse. Se ne vanno i grandi e restano i guitti di paese, Luca de Filippo era un portatore di tradizione e conoscenza, portatore di memorie e al tempo stesso dotato di un gusto tutto suo nel riproporre Eduardo, quel Eduardo che era sempre prima di tutto autore e primo attore nelle parole del figlio. Scompare a 67 anni, i geni paterni non hanno assicurato la longevità, scompare in attività e dunque quando ancora poteva molto e da professionista ha retto fino a quando ha potuto anche se, dalle testimonianze, si capisce che le ultime repliche di Non ti Pago si erano svolte con grandi difficoltà. Napoli me la immagino smarrita e a lutto, ha perso uno dei pochi nobili rimasti, un principe ereditario che non lascia eredi teatrali e che si porta dietro tutto un bagaglio che, temo, ha poco raccontato. Spero che Napoli sia smarrita e a lutto, se fosse come il resto d’Italia disinteressata e indifferente a questa morte (poco valgono i discorsi ufficiali) allora sarebbe segno che tanto di questa sgraziata penisola è penetrato nelle vene partenopee, come un veleno che distrugge, pezzo a pezzo, gli organi.

Di lutti e di lotte, l’anima si invola e pochi lo notano. Il recente furto a Castelvecchio.

Garda-tosi

Certi volti recano il marchio dell’anima, non ne posso dubitare, e molti altri mostrano quello che resta dei corpi senza l’anima, così non mi sorprendo nel udire gli sciocchi e tardivi tentativi fatti dal signor Tosi di giustificare il disastro con quella sua faccia che farebbe la fortuna di Viareggio. Il signor Tosi, come indicato dal più che ottimo Montanari, ha gettato soldi e soldi per quelle puttanate che fanno tanta cultura (leggesi: cose terra terra che fanno sentire tutti un poco artisti) e ha messo i suoi personali tasselli al mosaico della Verona Parco Giochi per turismo di massa dismessa. Nel frattempo, attorno al carrozzone addobbato, un degrado annusabile appena scesi dal treno. Il degrado vero è però quello mostrato l’altra sera dall’impensabile colpo dei soliti ignoti. 17 opere, tra queste capolavori irripetibili come la Madonna della Quaglia o il San Gerolamo del Bellini Jacopo e, pur non capolavoro, uno dei dipinti simbolo del repertorio veronese: il bambino del Caroto. Chi saprà mai se il Caroto, cesellando le illustrazioni per l’opera del Saraina, fermatosi un secondo a riflettere sulla caducità delle grandezze antiche, avrà immaginato che sarebbero giunti tempi tanto barbari e barbarici da rendere i suoi lavori dei pacchettini da trasportare, in massa (pur tra grandi), sopra il furgoncino d’una guardia giurata. Certo il bambinello, trovandosi compresso tra Jacopo, Antonio ed il Robusti avrà strabuzzato gli occhi e, indicando lo scarabocchio, avrà domandato quale onore lo poneva “tra cotanto senno”. Stranito poi dallo sballottio del mezzo si sarà rifugiato presso Andrea (pur incerto) ed il saggio e perfettissimo gli avrà contato di quando levarono parte della sua Pala, sempre da Verona, nel 1973, confortandolo con un “torneremo”, ma torneranno? Questo spero.

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Oggi alla notizia ho vestito nell’animo il lutto, profondo, forte, egoistico (e dunque sincero) lutto. Al lutto è seguita la furia ed il fastidio. I nostri polticanti e imbratta giornali hanno taciuto. Le principali agenzie hanno iniziato a sentire profumo di sangue solo alla comparsa delle stime (15 milioni… 15 milioni?? Solo il Pisanello, supponendo di partecipare a questo sciocco gioco, valeva almeno 100 volte) e allora, sempre relegando la notizia tra un tour di Jovanotti ed il pancione di qualche scosciata*, hanno dato qualche notiziola, miseramente confondendo le immagini dei dipinti trafugati con altri dipinti di altri musei (a quanto pare sono totalmente analfabeti). Ed in questo naufragio generale, davanti alla estrema e fatale riprova di quanto sia falso  il mantra annuale sul “nostro petrolio artistico” si involano le opere, per dove? per cosa? Il signor Tosi, dopo avere scoperto come rompere qualche noce di cocco con le pietre risparmiando infine il prognatismo della sua capoccia, ha detto che un perfido e coltissimo collezionista, la Spectre del collezionismo mondiale, ha certo tramato nell’ombra. Ora, solo un ignorante può credere che vi sia stata una accuratissima e raffinata selezione, quando invece è evidente che sono stati portati via i pezzi da 90 della collezione, più qualche secondario. Vendibili? No. Allora speriamo nel riscatto e non nell’altra possibilità, evocata da Sgarbi, perché non vorremmo mai assistere alle decapitazioni dei dipinti.

Nel frattempo il mondo, tanto solerte alle facili lagnanze e alle bandiere esposte, tanto triste e lacrimoso, con una mano grattando la schiena dei grufolanti terroristi (e finanziandoli) e con l’altra reggendo il fazzoletto inumidito prima in qualche bicchiere, tace. Il popolo della rete, i pesci insomma, i totani, i boccaloni, non gridano, non manifestano, neppure si accorgono che il 19 sono forse morti davvero dei cittadini di grande importanza, irripetibili, da piangere per tutti, da rimpiangere sinceramente perché sì, in cuor loro, dovrebbero sentirli parenti di carne e sangue. Si preferisce il lutto degli ignoti, fingere il rammarico, ma sotto sotto temere solamente di dovere rimandare la vacanza, di fare code in stazione… e poi vuoi mettere il gusto di riciclare tutte le foto che ci siamo fatti davanti alla Torre Eiffel, noi cittadini del mondo, mentre a Castelvecchio chi cazzo ci andava? Ci si potevano fare le foto (senza flash), potevi perfino farti un autoscatto con alle spalle una Sacra Famiglia un po’ distratta, ma è meglio piangere gente che non avresti mai conosciuto, in locali dove magari andrai a fare due autoscatti per far vedere che ci sei stato. Il petrolio dell’Italia, trafugato a barili e barili, e quando non è trafugato è spesso conciato come è conciato, anche grazie a energumeni che, eletti dalla massa bifolca e sozza (il non avere alternative non giustifica, essere idioti e vantarsene giustifica invece i ceppi), spendono i fondi per tutte le cazzate possibili, culturali perché fatte con le terga, ma dimenticano di dare un servizio di sicurezza serio ad uno dei principali Musei della città. Neppure mi sento di giustificare la direttrice in scadenza, futura direttrice della Accademia a Venezia (aiuto), perché non ho letto in questi anni di sue proteste vivissime per lo stato di non sicurezza del Museo, né ho letto di suoi ultimatum mettendo sul tavolo il suo posto; la direttrice è meno colpevole certo, ma ugualmente fiancheggiatrice di questo mondo senza memoria, questa classe dirigente di amministratori solerti come un Eichmann, di sorveglianti perspicaci come un Beria… sacchi di patate, ortaggi, caramelle, hanno rubato pacchetti di sigarette e preservativi, hanno rubato chincaglieria, robe vecchie in cornici tarlate, si figuri, poca roba, è bastato un furgoncino da guardia giurata per fottersi secoli.

Il mondo prosegue, la gente se ne strafrega, non vi è notorietà e festa in questo lutto (l’altro è stato il festival del lutto, la Santa Muerte di doni, magliette e fiori) e se qualcuno si chiede che ne sarà della Verona e della Italia senza le sue opere e dunque la sua anima, beh sappia che quasi nessuno si accorgerà di avere perso l’anima perché è bella che venduta da anni e anni ed il coltivarsi è come uno schiaffo in faccia alla idiozia dei più e dunque qualcosa di detestabile, brutto, osceno e inaccettabile, l’apprendere ed il faticare, il faticare anche del bello, è ostile al corpo del mondo, dove si cerca il “darsi un’aria” tra gente che ama “darsi un’aria” e tra tutti questi palloni gonfiati quello che conta è il complimentarsi a vicenda del nulla, l’invidiarsi lo squallido ed il copiarsi il mediocre, una sfida al ribasso che si ravviva ogni giorno. Avanti, allora, verso l’ennesimo baratro.

PS: proponiamo lo squartamento in piena Arena per i responsabili.

* Senza tralasciare le riflessioni fondamentali sopra pubblicità antigay, club da strafighe/fighi, stronzate banalissime dette da un tizio vestito di bianco e la tanta solidale inutile ripetitiva ignorante banale schizofrenica canzoncina di accoglienza, apertura, porte spalancate, culi desiderosi, bocche infracicate con l’eco, adeguato (europa unita!), dei fessi galli e di quel mediocre scribacchino di Houellebecq che pizzica Hollande ma salva chi gli compra i libri.

AGGIORNAMENTO

Dichiarazione geniale del Sig. Tosi

Verona Flavio Tosi, che poi, anticipando possibili polemiche sulla sicurezza, ha aggiunto: «le norme che vengono applicate e i parametri di sicurezza non rendono impossibili i furti, li fanno anche al Louvre».

Strampalati, stupidi, inutili tempi

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Strampalati, stupidi, inutili tempi

Che l’ora ed il tempo ci apparecchia

Davanti al volto, davanti agli occhi,

Tiritera da quattro soldi, vecchia

Solfa agghindata a nuovo, scempi

Sempiterni di giovani pitocchi

 

Ridicoli quanto è ridicolo

E alla fine del gioco noioso

Il vestirsi d’un rudere da garzone

 

Sciocchi quanto è sciocco

E alla fine del canto borioso

Costumare a donna un caprone

 

Stanchi dello scorrere di quel fiume

Dove il mondo ricerca solo pediluvi

E noi, i piedi gonfi, a camminare

In una terra arsa dai diluvi

Di parole a caso, dal lerciume

Che chiederebbe di strappare

 

Il bulbo, l’occhio, la pupilla, la sclera

Di gettare sopra questa voce

Il balsamo misterioso di quella sera

Per cercare a tentoni la foce