Archivio mensile:agosto 2012
Io darò nome
Frederic Edwin Churchm The Old Boad, 1850
Io darò nome a tutte le cose
come l’Adamo del primo Libro,
e prenderò controllo del mio regno
sotto un cielo dal colore nuovo.
Riunirò in uno solo ogni suono.
E quando l’angelo dalle quattromila ali
disperderà l’ultimo rintocco
modellerò l’universo dal principio.
Perché i confini di tutto il mondo
sono quattro dolci archi lievi
dove ogni potere giace splendente
FINALMENTE BUAZZELLI
Nell’epoca degli attorucoli dalla incerta dizione e dalla certa incapacità, circondati dal belloccio che una volta faceva da imbottitura al filmetto e ora si spaccia per protagonista, è bene tornare a vedere i grandi senza alcun dubbio. Finalmente youtube inizia a resituire Buazzelli oltre il pur ottino Nero Wolfe e le divertenti pubblicità, Buazzelli al meglio. Ecco un programma del 1987 a ricordo del grandissimo scomparso prematuramente.
IL GIGANTE E IL VAGABONDO – LA STORIA DI ERIC CAMPBELL
Il mondo del cinema muto è costellato di storie tragiche, sembra quasi che fosse inevitabile il giocare tutto per tutto e che la morte, l’annullamento, la povertà estrema, fossero la necessaria minaccia per poter creare qualcosa di duraturo. La morte, l’hanno detto in tanti, è uno degli inspiegabili motori dell’arte e di croci è costellata la via del pionieristico, pazzo, geniale cammino del cinema dei primi decenni del secolo passato. Forse ancora oggi questi tragici epiloghi hanno ancora spazio, ma resta l’impressione che all’epoca fosse davvero un gioco pericoloso e che a mettere la propria pelle sul tavolaccio fossero tutti, compresi i più grandi. Una serie di errori e anche le più luminose carriere potevano svanire per sempre.
Tra queste molte croci oggi voglio brevemente ricordare quella dell’uomo che, per undici film, dal maggio del 1916 all’ottobre del 1917, ha rappresentato qualcosa di molto importante per Charlie Chaplin: Eric Campbell. Se nelle molte vite vissute da Chaplin c’è una fase dove il vagabondo è uscito dal suo rango di stella isolata e si è accostato a qualcosa che poteva sembrare una spalla comica è proprio questa vissuta accanto a Campbell. Il volto di Campbell, irlandese classe 1879, è conosciuto e ignorato al tempo stesso. Certamente nei ricordi di molti di voi questo volto è famigliare
Mentre altrettanto con sicurezza questo altro volto è totalmente nuovo.
Il gigante Campbell (1.98 di altezza) ha rappresentato il cattivo per eccellenza, l’orco dai lunghi baffoni inspidi, una figura grottesca e spaventosa, una sorta di Barbablù, intento a corteggiare, solitamente con pessimo esito, la bella di turno, costretto a subire gli attacchi del vagabondo, ma anche in grado di restituire con forza alcuni colpi.
Certo sarebbe eccessivo dire che Chaplin e Campbell abbiano anticipato Laurel & Hardy, i caratteri erano profondamente distinti e non c’era quella intenzione di farne una coppia comica reale, ma è innegabile che, quando la coppia comica più celebre doveva ancora comparire (nel 1921 faranno la loro prima apparizione assieme), il rapporto tra il vagabondo e il suo gigante iniziava a instillare nel pubblico un sempre maggiore interesse per questa formula a due, il grosso, un po’ manesco, ma anche goffo e gradasso, il minuto, lesto, a volte svanito.
Campbell, a differenza di altri attori dei film di Chaplin aveva alle spalle una formazione teatrale concreta, oltre ad una esperienza nel mondo del musical (era un baritono), insomma sapeva reggere la scena e questo spiega perché Chaplin si trovò ben presto a ritagliare sempre più spazio per loro due: nell’anno e mezzo di lavoro per la Mutual Chaplin girò 12 film, solo in uno non compare Campbell, One A. M., una sorta di eccellente prova di bravura del solo Chaplin, un monologo comico nato magari per sottolineare la mantenuta autonomia dell’attore e la totale indipendenza comica, ma resta il fatto che One A. M., per quanto straordinario, non risulta certo il migliore dei film nella serie di quell’anno e mezzo.
Come dicevo, il mondo del cinema muto è costituito da molte croci. I guai si accumularono tutti in pochi mesi, a giugno la moglie di Campbell morì improvvisamente per un attacco cardiaco, lasciando l’attore in uno stato di prostrazione che lo condusse ad esagerare con gli alcolici. Come se non fosse abbastanza pochi giorni dopo la morte della moglie l’unica figlia, Una, venne investita da un auto mentre andava a comprare un abito per il lutto: la ragazza riportò gravi ferite dalle quali si riprese solo con un lungo periodo a letto. Già questi due eventi avrebbero potuto schiantare un uomo, anche se mastodontico, ma vi si aggiunse un fatto che, in principio, parve uno spiraglio di luce. Campbell conobbe Pearl GIlman, attrice di vaudeville. Gilman nonostante la sua giovane età, poco più che ventenne, aveva alle spalle già due divorzi lampo con facoltosi ex mariti e Campbell in quel momento, nonostante i problemi personali, vedeva la sua stella brillare: aveva seguito Chaplin alla First National e dunque il 1918 sarebbe certamente stato un anno di intenso lavoro e di ottimi incassi. Campbell perse letteralmente la testa e cinque giorni dopo aver incontrato la Gilman la sposò. L’assurdità di questo gesto dovette apparirgli presto, magari durante qualche intervallo di sobrietà, visto che tenne nascosta la cosa per settimane alla figlia convalescente. Secondo copione due mesi dopo la Gilman chiese il divorzio dichiarando di aver subito violenze e insulti da Campbell. La cosa spinse ulteriormente nell’alcol Eric che il 20 dicembre 1917, alle 4 del mattino di ritorno da una festa, rimase coinvolto in un grave incidente stradale restando ucciso sul colpo. Chaplin si mostrò rattristato, anche se tentò immediatamente di trovare un sostituto per il ruolo di Campbell (dobbiamo però ricordare che all’epoca il ritmo di produzione era vertiginoso, praticamente una commedia al mese e Chaplin era molto esigente). La tragedia non finisce purtroppo. Campbell venne cremato, ma nessuno si fece avanti per pagare le spese del funerale e così per diversi mesi le ceneri di Campbell rimasero abbandonate al Cimitero Rosedale. Sei mesi dopo vennero inviate, sempre senza che qualcuno pagasse la sepoltura o reclamasse l’urna, alla Handley Mortuary. Rimasero in questo luogo per anni, fino al 1938 quando la Handley chiuse e rinviò le ceneri a Rosedale.
Solo nel 1952 un dipendente del Rosedale pagò di sua tasca le spese consentendo che Campbell ricevesse una sepoltura. Oggi le ceneri di Campbell giacciono da qualche parte a Rosedale, recentemente è stata apposta una lastra commemorativa nel cimitero, ma sotto non c’è l’urna che, al momento, risulta smarrita. Nessuno ha mai reclamato i resti di Campbell. Se le vicissitudini delle ceneri di Campbell sono comprensibili mettendosi nei panni della figlia (una quindicenne, rimasta orfana e senza un supporto economico, costretta a tornare in Inghilterra e a trovarsi un lavoro in fretta e furia per sopravvivere) rimane l’amaro in bocca nel pensare alla totale assenza di un intervento di Chaplin in favore della figlia del fedele collega. Chaplin era certo molto impegnato e mieteva successo dietro successo, ma resta il fatto che, se si osservano ancora oggi gli undici film dove compare Campbell, appare chiaro che parte della fresca comicità di questi nasce proprio dalla perfetta alchimia tra il vagabondo e il suo gigante, una alchimia che forse avrebbe meritato post mortem un maggiore segno di riconoscenza.
PS: Sulla vicenda di Eric Campbell consiglio un recente documentario, Chaplin’s Goliath
RICCHI PREMI E COTECHINI (da Vittorio Gassman – I Mostri – La Musa)
E sono tipi di selezioni che mi paiono ancora poco arbitrari, chissà se troverebbero un magistore che denunzia…
IL PUZZO DEI POETI MANCATI
Isidor Kaufmanm, Those funny little Ads
Il puzzo dei poeti mancati
risale la collina,
è un misto di fiori strinati
e pesti, di varichina,
di giocattoli dimenticati
perché banali, perché rotti,
di orchestrine da naufragio
da oceani del disagio
inesistenziale,
di biografismo da suicida
complessato, con la gamba
rigonfia di latte e accidia
ed il verso smozzicato
Il puzzo dei poeti mancati
affiora dagli scranni,
dai banchi, dai tribunali,
dalle scuole, dagli ospedali,
dalle case di riposo,
dall’inebetito parlare
oltre il tempo della ragione,
oltre la vita biologica.
Sfidano l’autoeutanasia dei cervelli,
i poeti mancati,
ed il lezzo che emanano è dai brandelli
di carni, tarlati
nelle teste ad eco
per i defluvi cerebrali,
siedono in sempiterno congresso
e spesso hanno un solco in fronte:
è il marchio del successo
e delle acclamazioni, le corna dorate,
i fasci, le ghirlande,
vero onore o ruberia è lo stesso
per questa genia di Giani bifronte,
incapaci di distinguere il catarro
dal gelsomino,
imbambolati con occhi di ramarro
“a rimirar il giardino”
delle loro poche ossa,
e contando contando
strascinano i cenci alla fossa
del cacatoio d’elezione
dove daranno l’ennesima deiezione
e si sorprenderanno “poetando”
MERCANTI DI FUMO SI SCONTRANO ovvero Diprè VS Bonito Oliva
Lo scontro Bonito Oliva – Diprè è l’antica lotta tra due esponenti della medesima religione. Gli adepti ai quali i due malcapitati si rivolgono sono praticamente gli stessi, variano nell’aspetto i luoghi e la forma, ma poco più. Se Bonito Oliva propaganda le sue croste dalla suite di un hotel, Diprè si riduce al salottino sgangherato della nonna, se Bonito Oliva darà a pagamento una mezz’ora di notorietà al peracottaro di turno e, a forza di invasione del mercato, riuscirà a trovare chi sia tanto fesso da sborsare soldi per quella paccottiglia abbacinato da “quotazioni” e cataloghi, Diprè fornirà un quarto d’ora di fama e accalappierà qualche incauto inebetito dalla televisione. Per Diprè il guadagno principale è forse nel fare leva sulla stupida convinzione dell’italiano medio che tutti si è artisti (declinato in questo caso a scultura, pittura e così andando) che tutti si è destinati a far mostre e dar mostra del proprio talento. Per Bonito Oliva il guadagno viene sia da questo, sia da un mercanteggiare più vasto con una rete nazionale e internazionale di suoi simili e infine dal far leva sulla convizione dell’italiano medio di capire cosa sia arte e di fare “utili” investimenti. Dipré non presenterà croste con tanto di bollino (pensiamo ad uno Schifano, impiastrone che un’ampia opera di saturazione del mercato a suon di grancassa ha portato a cifre al di là dell’assurdo) ma spesso le sue croste sono pari a quelle del Bonito Oliva. Se questo secondo presentasse i quadracci presentati dal primo maree di gonzi accorrerebbero a prenotare e a mettersi in salotto l’ennesimo vomito sopra tela.
A fare i caghetti intellettualoidi, quelli da ditino alzato e vocina flebile, staremmo ora ad elogiare Oliva, mentre in cuor nostro non ci riusciamo, entrambi sono fautori di rincoglionimento e di distruzione dell’arte, entrambi affamano i pochi reali artisti per una produzione in serie che non vale un fico secco. Quella pittura modernissima che è come il dollaro e la borsa: non pagate oggetti o capacità concrete e visibili, pagate titoli ed evanescenti quotazioni di mercato. Allora viva Diprè che, con il suo modo sbrindellato, il suo parlare risibile (ma se ascoltaste Bonito Oliva sentireste un italiano raffazzonato alla medesima maniera) ci mostra quanto sia nudo il re, se l’altro ci vende piscio in una lattina Coca Cola, Diprè ce lo offre in un misero bicchierino di plastica e ci dice subito: guardate che è piscio. Liberi di trangugiarlo e pagarlo fior di quattrini.
ANTONIO SABINO – OMBRE DELLA CREAZIONE *
Threnody to the Victims of Hiroshima, Penderecki
agli abitanti di Hiroshima e Nagasaki
Ombre a digiuno delle vostre parole
come a digiuno di strade asfaltatate
Ombre apparse per la luce di un sole
elettrico, da sfere celesti bombardate
Non conserviamo il ricordo dei pensieri
che attraversavano chi ci ha possedute e create
ma il docile ripercuotersi dei sentieri
scovati il primo giorno che vide le prime nate
illusioni
d’una eternità che ci ha infine reso i conti,
mentre ebbrie ed intorpidite,
sognavamo ancora una volta di scavalcar monti.
Chissà se siamo impallidite
al culmine dei nostri obblighi giornalieri
prima di incontrare di Dite
le porte e tramutarci in questi inutili e neri
santuari
di un mondo che perse d’un tratto ogni colore.
Non più temendo di diventare vecchi
prostrati fino a svanire
come gli antenati per quegli specchi
che davano loro il morire
-questa era la sensazione
civile, antica, risibilmente seria tradizione-
abbiamo esalato con un solo balzo
l’intero universo delle conoscenze
fino a diventare Noi: il suolo che scalzo
calpesterà un bimbo. Intermittenze
di respiro e apnea
come d’una luce che scorre innanzi al colonnato
delle nostre ossa,
natura innocente rea
neppure ci riservasti una fossa
ma volesti che la tomba fosse ogni luogo creato.
*questa poesia è comparsa nella miscellanea La versione di Giuseppe, Poeti per Don Tonino Bello, Edizioni Accademia di Terra d’Otranto, 2011