Salinger non pubblica

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I postumi della gloria sono inevitabili incubi di mal di testa e terrore, sembrava molto buono mentre ne trangugiavi ad ampi sorsi e boccate, ma dopo resta la confusione di non sapere dove sei e perché ci sei arrivato. Leggo che hanno scovato una marea di lavori inediti di Salinger, diversi romanzi, racconti, un libro di filosofia e, pare, il seguito del giovane Holden, evviva o no? Il terrore di essere arrivati in cima, quando tutto pare che ti debba giungere tra le mani e le speranze si accumulano, poi iniziano a scivolare via, già vedi alcune nubi che ti minacciano da lontano, quasi additandoti. Tu scrivi, ti ritiri, ma continui a scrivere, le pagine si accumulano e non pubblichi nulla, eppure ogni editore oramai si getterebbe ai tuoi piedi, tutto è in discesa, ma non demordi e archivi, scrivi e archivi, forse è una assicurazione finanziaria per chi ti era vicino, forse il semplice vizio della scrittura, forse è uno sforzo di guardarsi allo specchio per vedere ancora se il tuo volto è rimasto intatto. Non si capisce. Non è comprensibile, non lo è oggi, oggi chiunque tenta di pubblicare qualsiasi cosa, le case editrici pasteggiano a forza di “programmi per la autopubblicazione”, fosse anche per dare la tua versione della caponata certo hai quel plico di carte che prima o poi, appena troverai l’editore adatto, pubblicherai svelando al mondo cosa si stava perdendo. Oggi pare incredibile, Salinger non ha pubblicato, niente, dal 1965 ha smesso, difficile immaginarsi che abbia seguito dibattiti sulla sua persona, inchieste o interrogativi. Si è rinchiuso, dal 1980 non lo vedeva quasi più nessuno, e così si è perso “grandi cose” nel mondo, si è perso un gruppo di tizi che ha fondato una scuola di scrittura, si è perso un noto tuttologo che ha sputato la stronzata giovanilistica, épater la bourgeoisie (ovvero sorprendersi… altro caso evidente di chi si guarda allo specchio e vuole la conferma di non aver cambiato fisionomia) mischiando cose distinte, si è perso tanti concorsi dove si ricerca spasmodicamente due categorie di scrittori:

  • quelli che la pensano come noi

  • quelli che pagano la quota di iscrizione

Salinger si è sottratto al mondo, ha scritto quotidianamente, pare, ma non ha pubblicato più nulla, molti si sono interrogati, in fondo, si dice, lo scrittore scrive per un pubblico. Può essere, sinceramente non ci ho mai capito molto di queste riflessioni, c’è però la possibilità, ad esempio, che uno scrittore esaurisca fiducia ed interesse verso questo pubblico, dopo avere fatto esperienza di come sia, come reagisca e come la pensi. Non necessariamente tutti gli esseri umani gioiscono e stimano sulla base di un consenso. C’è anche la possibilità che uno non scriva per il pubblico o scriva e pubblichi solo perché le bollette incombono, il droghiere incalza, il salumiere borbotta, poi un giorno raggiunge una solidità e non trova più necessaria questa buriana… per me l’idea di pubblicare, dico pubblicare in forma vera e propria, qualcosa di completo, complesso, è una sorta di spauracchio e centro di attrazione, da una parte è come uno sprone a raccogliere quelle dannate carte sparse e completarle, ho dei racconti, ma troppo pochi per una raccolta, ho dei progetti, ma non completi, luoghi dove pubblicare racconti singoli o mezzi romanzi non ne conosco, e così mi faccio forza e raccolgo le forze in vista di “pubblicare” queste cose, perché? Penso per denaro. In realtà io ho dei libri già pubblicati, non sotto il nome Antonio Sabino, ho dei libri e hanno perfino venduto (accidenti?!) ma per diverse ragioni a me non è venuto un fico secco da questi volumi. I miei volumi sono diffusi, vengono citati, ma a me non è venuto nulla, neppure un centesimo e non campo di onore, non  sento l’onore più di pochi minuti. Mi devono ogni tanto esortare, incoraggiare quasi, ricordarmi che è una bella cosa essere stati pubblicati, non avere tirato fuori un centesimo per vedere il proprio lavoro riconosciuto, nero su bianco, da una casa editrice di tutto rispetto, ma io continuo a non vedere l’onore e sul perché questo o quello sia pubblicato io non lo so, varrà quello che ho scritto oppure sarà un gioco di finanziamenti pubblici, non ne ho idea. Questi lavori sono degni, questo sì, non avrei sopportato di mandare in stampa cose fatte senza impegno, mi sono costati anni di fatica, ho sudato e parecchio sopra quelle pagine, pubblicare è qualcosa infine, ma non sono del regno delle anime elette, o si è solitari o si è ben messi di famiglia, e un minimo di riconoscimento “sonante” mi avrebbe fatto piacere più del sapere che sono menzionato o che ho ricevuto ottime recensioni. Non mi riescono i discorsi elevati, il pubblico non lo scegli, non hai veri contatti con lui, di fatto è composto da persone che incontrerai qualche attimo nella tua esistenza. Così vorrei pubblicare anche le altre cose che ho tra le mani, vedermi riconosciuto un compenso, vorrei poter arrivare ad un punto per cui mi fosse possibile chiudere fuori il mondo e scrivere, se mi viene voglia, senza più mostrare. Una sola cosa rimarrebbe da decidere, queste cose andrebbero infine rivelate? Le dovrei lasciare in vista o ordinare di farne un bel falò? A gente che ci ha provato in passato non è andata bene, quello che avevano decretato per la fiamma è rimasto vivo e vegeto, altri hanno risolto nell’unico modo possibile, gettando con le loro stesse mani tutto quanto nel fuoco. Molti si interrogano, addetti ai lavori e non, sul perché della scelta di Salinger, io continuo a chiedermi cosa vi sia di strano…

ALLEVIARE LE SOFFERENZE DEL POPOLO ITALIANO ovvero LO STATO E GIOVANNI ALLEVI

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Il tempo scorre inesorabile, l’insieme di borbottii si sommano senza possibilità di una pausa, un silenzio, non c’è nulla da fare. Volevamo, settimane or sono, fare un piccolo intervento sulla ennesima Allevianata in quel di Monza, abbiamo tardato tanto per ripescare dal vecchio blog i precedenti di questo nostro (dis)interesse per il pianista sotto il fungo tricotico, ma il tempo scorre inesorabile e prima ancora di vedere la nostra puntata Allevi rilancia. L’intenzione era quella di sottolineare come questo Stato, tanto martellante sopra vacue frasi come “aiutare e formare i giovani” o “evitare che le generazioni più recenti debbano fuggire all’estero”, nella pratica desse innumerevoli esempi di come le intenzioni siano esattamente le opposte. Il caso Allevi, io credo, può rientrare tranquillamente tra questi esempi. Senza dover riprendere la questione sulla ridicola pretesa di “rinnovare la classica” (leggete a tal proposito le puntate precedenti) noto la solerzia dello Stato e delle Istituzioni ad incensare il più possibile questo personaggio costruito a tavolino. Si sprecano i concerti di Stato, le occasioni ufficiali, le concessioni di cavalierati. I politici fanno a gara, dall’alto della loro assoluta mancanza di conoscenza musicale (ma oseremmo dire culturale) per accaparrarsi il “nuovo Mozart”, con buona pace di Amadè che potrebbe infine rivelare l’ubicazione dei suoi resti rivoltandosi pesantemente nella tomba. Tra esecuzioni di Alleviate miste a massacri di Puccini, inni d’Italia al pianoforte degni di uno che ha appena visto il piano e ci giochicchia con 3 o 4 dita, Allevi è spinto, sospinto, innalzato, dimostrando come l’interesse dello Stato per le persone “capaci” sia da mettere sullo scaffale delle “balle quotidiane”.

 

L’elettissimo pubblico dell’evento pro Expo monzese si diletta, quanta invidia..

 

Allevi non è un capace, non è un meritorio, è un prodotto del mercato e di qualche produttore, rivolto ad un pubblico di bestie musicali per dare loro l’illusione di vivere un momento storico. Quando ci si infila in qualche negoziaccio di musica generalista (tale è per me la Ricordi oramai… o la Feltrinelli) ecco che campeggia il tricotico tra parrucche ben più lodevoli. Qualcuno probabilmente si illude di ascoltare classica in questo modo, per certi versi dimostrando di patire un complesso di inferiorità mai ammesso e che nessuno, dico io, vorrebbe che fosse presente visti gli esiti. Lo Stato incita e spinge ed ai tanti disgraziati che affrontano un Conservatorio, faticano sopra due scuole (perché da solo il Conservatorio è impossibile o quasi) e si ammazzano di fatica per poi finire a fuggire o a fare la fame, lo spudorato favoritismo verso la nullità in pelo e capello risulta essere una offesa spaventosa. Di nullità musicale, lo ribadisco fino allo sfinimento, si tratta, nullità compositiva ed esecutiva, basti vedere questo osceno tentativo di presentare quella che secondo questo ignorante (perché sospettiamo pure che non faccia solo finta, ci sia pure una certa  ignoranza musicale di base) sarebbe una specie di trascrizione di una suite di Bach per violoncello. Qualsiasi orecchiante (non c’è bisogno di scomodare variazioni illustri o pianisti e musicologi) qualsiasi orecchiante dico, con un minimo di pratica alla tastiera, sente come tale “trascrizione” non sia altro che la riproposizione pari pari, a poche dita, con giusto qualche sbrodolata chiassona nell’accompagnamento.

 

Beccati questa Bacccheee

 

Qualora si ritenesse che non vuole essere trascrizione sed esecuzione i medesimi orecchianti sanno perfettamente e possono provarlo con lo spartito, quanto sia semplice eseguire una suite per violoncello sul pianoforte, è davvero semplice, dunque il nostro “genio” invece di mettersi a suonare qualcosa di classico e scritto per tastiera, preferisce fingere trascrizioni… perché? Perché la carenza tecnica, costantemente presente all’orecchio quando esegue una sua composizione o quando massacra il già non esaltante inno italico, risulterebbe palese. Al massimo ci aspettiamo in futuro qualche pezzo facilissimo (dico da eseguirsi, non da interpretare) come l’Adagio Sostenuto della Sonata n. 14 di Beethoven,  eternata (ahinoi) come Chiaro di Luna. Trattandosi di pezzo abbastanza semplice (sempre per quanto riguarda la fattibilità della riproduzione delle note) ed essendo banalizzato al pari di una Gioconda mi aspetto prima o poi che il nostro Fungone lo presenti alla folla degli abitanti di Livadeia.

Come scrivevo in principio però il tempo scorre inesorabile e così il nostro ha pensato di aggiungere carne al fuoco. In occasione di quel mistero che prende il nome di Giffoni Film Festival il nostro, davanti ad una folla di pargoli che gli ha decretato una “standing ovation” (così scrivono sulle gazzette) a dimostrazione del fatto che il termine di innocenti è ampiamente abusato e che Erode meriterebbe una difesa, tra le molte palle, pallottole e palline riversate dal nostro pare che sia arrivato a questo pensiero che, per come la penso, definirei fondamentale se non fondante della visione del mondo del nostro “nuovo Mozart”.

 

Un giorno – racconta – ho capito che dovevo uscire dal polverone e cambiare approccio con la musica, anche se si trattava di quella classica. Stavo ascoltando a Milano la NonaSinfonia di Beethoven. Accanto a me un bimbo annoiato che chiedeva insistentemente al padre quando finisse. Credo che in Beethoven manchi il ritmo. Con Jovanotti, con il quale ho lavorato, ho imparato il ritmo. Con lui ho capito cos’è il ritmo, elemento che manca nella tradizioneclassica. Nei giovani manca l’innamoramento nei confronti della musica classica proprio perchè manca di ritmo

 

Al di là del raccontino ad usum Cretinorum e della spruzzata favolistica da La Fontaine (perché i partecipanti ci appaiono tutte autentiche BESTIE parlanti) ci piace ammirare come il fanciullino Alleviano rappresenti il pubblico ideale, il bimbo che si annoia (cosa naturale e non ci vedo nulla di male) è l’obbiettivo commerciale, ha bisogno di ritmo, il tum tum nello stomaco, così pensiamo, il ghirigori di quelle quattro scale in croce, basso mediocre più che continuo. Allevi si compiace e si compiace nel dire assurdità, salvo poi accorgersene (o forse dietro imbeccata) e smentire perché dire che Beethoven manca di ritmo non solo è una stronzata, ma è anche una prova evidente del fatto che il “nuovo Mozart” non ha neppure una minima idea di quello che racconta, perfino i neofiti si rendono conto che in Beethoven il ritmo è una delle componenti fondamentali. Ma dato che il nostro deve sponsorizzare la “musica del domani” (lui) ecco che a Ludwig avrebbe fatto bene una esperienza concertistica con Jovanotti (altro miracolato) per apprendere il senso del ritmo come ha fatto Allevi. Il sospetto è che il nostro, visto il deciso e quasi totale rifiuto da parte degli addetti ai lavori della classica e, più in generale, del pianoforte di appoggiare le sue false modestie o le sue pretese, ora preferisce appoggiarsi tra elementi italici del genere Jovanotti, certo più capaci di vedere e credere che Allevi sia il “nuovo Mozart”, d’altro canto, come si era ricordato in un post che ci costò il biasimo di un Jovanottiano (o di Jovanotti stesso, almeno così pareva presentarsi) Jovanotti (dal cognome musicalmente illustre) gode da anni di curiosi finanziamenti anche per cose che, in teoria, rientrerebbero nell’ambito della classica, scuole d’opera, preparazione di opere musicali, culminando il tutto pure in un suo libro sopra Mozart dove ovviamente il nostro Amadè ha i tratti del ribelle alla Jovanotti. Magari questo critico musicale in erba potrà col tempo riscrivere i capitoli e dare una foggia Alleviana e diventare il Battista del Messia della musica del futuro, nel frattempo lo Stato continuerà a parlare di “impegno per le giovani promesse” e di “onorare la fatica e la capacità”, tra una sonata di Allevi e l’altra, magari ancora a Monza dove Maroni si è detto “pazzo d’Allevi” e la cosa non ci stupisce dall’attuale capo di un partito che confonde il Nabucco con I Lombardi alla prima Crociata e si sceglie per inno il canto di ebrei prigionieri pensando che siano dei “padanissimi”…

PS: a dimostrazione della protezione Statale (un giorno sapremo il perché?) del nostro geniale fungone Allevi ha pure composto l’Inno delle Marche ovviamente per volontà somma della Regione, pare si cerchino autori per il testo, scrivete Lorenzi da Ponte, scrivete, scrivete…

LE LIETE ADUNATE

   Vorrei talvolta ridurmi al lumicino, perdere per completo l’uso della voce, l’uso del suono, produrre giusto qualche inarticolato brusio, zio Nico’, eliminare ogni possibilità di contatto, e perdere anche l’udito, perché troppo si soffre con l’udito, ma poi c’è la musica ed il canto e allora cancello tutto; vorrei poter parlare solo in versi sonori, cantare, ogni parola fosse legata a note, ogni mio gesto prevedesse musica e così il mondo attorno, vorrei vivere in un’opera meravigliosa, dove le scene di massa, i cori, avessero un senso ed uno scopo, invece della democraticità dei ciucci al brucolìo, questo brucolìo, zio Nico’, questo brucolìo a cosa serve? Questo ciancico a bocca storta? Io non mi capacito, non riesco a trovarci un senso. Sempre più vorrei perdere ogni contatto con Loro, cosa sono? Da dove vengono? Quale morbo li ha trasmutati a tal punto che non riconoscono, neppure nei volti dei loro fratelli appestati, i segni inequivocabili della lebbra.
Basta una riunione, ci capiti per sbaglio, ci vai perché ci devi andare, l’accordo sonnolento delle menti sulla costituzione del buon cittadino, ed è finita. Che paura, mamma mia, se rinasco un’altra volta non voglio rinascere uomo, oppure voglio rinascere come sono ma in terra tanto lontana da non capire neppure una parola, all’infinito, il linguaggio, il discorso. Non mandateli a studiare i vostri figli, che non apprendano la lingua, che vivano sereni senza intendere… eh già, ma poi arriverebbero comunque i segni, le smorfie, le teste inclinate, le dita, alla fine sarebbero punto e a capo, perché l’uomo se vuole parlare a vanvera pure col silenzio ci riesce.

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Norman Rockwell, Freedom from Fear, Oil on Canvas 1943

I fascisti, dicevano, i fascisti, imprimendo a quel “sc” un giro da turbine quasi ad intendere l’ultima catastrofe e poi la resurrezione, ma dove mai siamo risorti dai fascisti, zio Nico’? Vai 5 minuti… eh già, tu non sei fesso, tu da dove sei non ti muovi… ipotizza di andare cinque minuti a qualche manifestazione ufficiale, bandiere, banderuole, fascie del sindaco e delle autorità (e con le fascie non sono fascisti dunque?) bande musicali, gagliardetti, stendardi, a volte perfino i bimbi trascinati  a prendere freddo e retorica in piazza, a pigliarsi una influenza micidiale, perché si abituino al non vivere e al discutere senza senso, al parlà a schiovere, che fin da piccini assumano il pensamento che tanto vale mettere bocca e voce sopra ogni cosa, anche se è affare che non ti importa o che non sai, perché se non parli “non sei cittadino”, ti dicono strizzando l’occhietto… e alla fine cosa ottieni di tutto questo borbottare, di tutto questo fagiolare nell’acqua zozza della società? Che loro, i fascisti dalla fascia colorata, comandano, tu il cittadino che hai appreso a blaterare subisci e semmai, durante qualche minimo assestamento, forse puoi pure beccare una fascia pure tu, la tessera del partito, intanto fai numero e fai comodo per la fiera campionaria delle vacche da voto. C’è gente che ha paura dei morti, gli fanno strizzare le budella, se li immagino che la notte vengono a commettere omicidi, si immaginano perfino che alcuni che sono morti non sono morti veramente e vagano, senza ricordi, per mangiarsi a voi e a me, zio Nico’, e tutti gli altri, ma si può essere così asini? I vivi fanno paura, i vivi, ed i vivi sono più morti dei morti, basta vederli in riunione, silenti e incapaci di critica, di valutare il ridicolo della funzione che trascorre davanti a loro, questi fanno paura e vi dirò perché sono già morti… anzi, no, ve lo dirò una prossima volta, adesso voglio dormire, ma un sonno senza parole.

LETTERE DAL CARCERE

Antonius Lucretiae Sal.

Tra qualche giorno, come sai, ho in programma di trasferirmi nella mia villa vicino alla capitale. Certamente riprenderò senza indugio tutta quella lunga e complessa infinità di lavori e obblighi che mi terranno in cammino dalla mattina alla sera, ma non mi strapperanno comunque ai miei scritti che, per mia fortuna, sanno seguire fedelmente le orme del loro padrone. I compiti che mi attendono sono comunque lontani dal riguardare questa repubblica che sempre più vedo allo sfascio e alla fine. Sai bene quanto ho creduto alla sopravvivenza di questo Stato, anche nei momenti di maggiore incertezza, ma oramai il tempo ha scritto il nuovo corso, il dittatore è stato imposto, le magistrature diminuite, il popolo assopito. Anche il desiderio di alzare la mia voce contro tutto questo è oramai indebolito dal timore: vedo infatti come i senatori siano impegnati in un gioco di fazioni, ora a sostegno ora a detrimento di chi detiene il comando, ma di gioco si tratta appunto e non di realtà, istruito per rendere il potere di uno solo più sopportabile a loro stessi e agli altri, così mi sottraggo a tutto questo per non sembrare partecipe e relego le mie lamentazioni ai pochi amici e a queste lettere affidate a mano sicura.

Manlio mi scrive che la sua salute è oramai tornata al suo stato comune e sembra quasi incredibile, tutti lo davano per perso, tranne tu che seguitavi nel provare una inspiegabile speranza. Noi lo piangiavamo e lui ora già passeggia per strada quasi senza alcun segno della malattia e, a detta di Quinto, pare letteralmente rinascere. Quinto invece non può dirsi tanto fortunato. Andrò a vederlo appena arrivato alla villa, ma temo che non lo troverò meglio dell’ultima volta, gli anni di sofferenza lo stanno segnando e i medici non hanno molto da dire che sia di consolazione o almeno dia qualche certezza, fosse anche negativa; in certi giorni è ammirevole, il suo intelletto non è colpito dal male, salvo per quella opacità dettata dai momenti di maggiore sconforto, ma il fisico non lo regge e progressivamente si trova sottratto al mondo.

Per parte mia godo di buona salute, i momenti di tristezza sono brevi e rari, nonostante la massa di avversità che galleggiano sopra la mia testa, e tenterò di mantenermi tale anche nella frenesia della capitale; conto di rifugiarmi nelle letture, in alcuni libri che richiedono di essere scritti e nell’arte. Scrivimi presto, scrivimi molto.