Destino volle che tra i tanti
nascessi io Nano tra i Giganti
ma docile la democrazia
rese i timori tutti vani:
eccomi Gigante tra i Nani!
Destino volle che tra i tanti
nascessi io Nano tra i Giganti
ma docile la democrazia
rese i timori tutti vani:
eccomi Gigante tra i Nani!
A Brescia, una sera tardi, volevamo andare rapidamente in una certa strada che, secondo noi, doveva essere piuttosto lontana. Un vetturino ci chiede tre lire, noi ne offriamo due. Il vetturino rinuncia alla corsa e per pura amicizia ci descrive la lontananza addirittura paurosa di quella via. Allora incominciamo a vergognarci dell’offerta che avevamo fatto. Bene, facciamo tre lire! Montiamo, la carrozza fa tre svolte per brevi stradette ed eccoci alla meta. Otto, più energico di noi due, dichiara che non ha nessuna intenzione di pagare tre lire per una corsa che è durata un minuto. Dice che una lira è più che sufficiente. Ecco qui la lira. È ormai notte, la stradetta è deserta, il vetturino robusto. Questi si riscalda subito come se la lite durasse da un’ora: “Come? Questo si chiama imbrogliare. Cosa credono loro? Si sono pattuite tre lire e tre lire devono essere. Fuori le tre lire o la vedrete!” Otto: “Vogliamo la tariffa o chiamiamo le guardie” La tariffa? non esiste tariffa. E poi che c’entra la tariffa? Si trattava di un accordo per una corsa notturna, ma lui era disposto a lasciarci andare se gli pagavamo due lire. Otto, con voce da far paura: “La tariffa o le guardie!” Dopo grida e ricerche quello estrae una tariffa sulla quale non si vede altro che sudiciume. Ci mettiamo d’accordo per una lira e cinquanta e il vetturino prosegue per quella via stretta nella quale non può voltare ed è non solo furibondo ma anche, mi sembra, malinconico. Infatti il nostro comportamento non è stato giusto, purtroppo; così non si deve fare in Italia, può darsi che sia bene altrove ma non qui. Ma nella fretta chi sta a pensarci? non c’è niente da fare: in una breve settimana aviatoria non si può certo diventare italiani
F. Kafka, Gli Areoplani a Brescia
Paolo Poli se ne è andato, portato via da qualche brutto malanno, a Roma nell’ospedale Fatebenefratelli, proprio come Palazzeschi e come Palazzeschi Poli era nato a Firenze e le ultime apparizioni sono legate ai versi dello scrittore fiorentino.
Paolo Poli se ne è andato e con lui una memoria enorme fatta di frequentazioni interessantissime, di aneddoti che ogni tanto tirava fuori dal cappello, ma che in parte resteranno ignoti perché non volle mai scrivere una vera biografia, né una memoria. Era della vecchia scuola del teatro, quella che considera il lavoro l’unico spazio di confronto delle qualità e che ritiene il proprio mestiere e la propria figura destinata a svanire. Totò pensava la stessa cosa, pur con tanti film alle spalle, ancora ripeteva che di lui non sarebbe rimasto nulla perché questo è il malinconico destino dell’attore. Poli fece poco cinema, non so se perché poco propenso o se mal utilizzato, certo poteva essere un raffinato caratterista, ma dedicò quasi tutta la sua vita alla radio ed al teatro, inframezzato a quelle scorribande che definiva marchette: a tante cose di contorno che gli servivano per pagarsi il suo teatro e, negli ultimi anni in particolare, per vivere dignitosamente visto che la pensione, diceva, era misera. L’anno scorso si è improvvisamente ritirato, stufo di un mondo che era troppo cambiato, a partire dal pubblico, e di una serie di inadempienze economiche da parte di alcuni comuni che non l’avevano mai pagato per i suoi spettacoli. Propaggini di quello Stato che oggi, per almeno 24 ore, lo piangerà. Ignoro se fosse già iniziata la malattia, resta il fatto che lontano dal teatro Poli è morto in breve tempo, pur avendo fino a pochi mesi or sono mostrato di essere ben presente in fisico e mente.
Paolo Poli non c’è più, uscito di scena un venerdì mentre sulle televisioni impazzavano porcherie come quelle di Bonolis, una televisione volgare che è tanto più volgare quanto più pretende, in alcuni momenti, di assumere toni seri, che sbraca sulla nonnetta, il cretino, la parodia parossistica della checca, il lecchino e compagnia bella. Chiaramente con un mondo del genere uno come Poli non poteva spartire più nulla, così come dimostrano anche delle pessime interviste visibili in youtube dove Poli, ora annoiato ora evidentemente innervosito, cerca comunque di alzare il tono di conversazioni fatte di domande banali e ritrite.
Cosa ci resta di Poli. Putroppo il meglio come sempre è rappresentato da quello che non potremo più avere ovvero lui sul palco. A differenza di Totò la sua presenza registrata in video è poca e discontinua, dei video degli anni ’60 con un Poli ancora giovane, un bel ragazzo longilineo che però pareva, a volte, un po’ maestrino nel suo modo di fare, ma penso fosse naturale, gioventù e concorrenza lo spingevano a sottolineare a volte questa sua certo non banale cultura. Poi il Poli maturo, anziano direi, quello che aveva saputo temperare con maggior grazia e senso dell’umorismo, quello che porgeva la sua profondità senza farlo pesare, più come un gesto di onesta civetteria: oltre all’età penso che concorresse a questo atteggiamento anche la certezza/tristezza di rappresentare oramai una rarità in un mondo di letture affrettate e scarsa curiosità.
PS: Quando una persona muore sarebbe meglio non guardare i giornali, i giornalisti, razza problematica, tendono a proiettare sopra il morto le loro paturnie e i loro desiderata e così, vedo che Poli, da sempre schietto portatore della sua identità (come individuo, non come mero portatore di tendenze sessuali) viene prima di tutto ricordato per quello che lui non è mai stato: un coraggioso omosessuale dichiarato, un difensore dei diritti omosessuali e via dicendo. Ridurre la carriera ampia e complessa di uomo certo non comune a questo è l’ulteriore esempio del degrado di questo mondo contemporaneo. Poli non mostrava simpatia per l’esibizionismo da Gay Pride, non si vestiva da donna fuori scena e non gliene importava nulla di matrimoni e cose simili. Ora, neppure a corpo freddo, lo si investe del ruolo di ambasciatore postumo di cause da lui mai affrontate e neppure considerate degne di tanto baccano.
La crisi del blog. Una questione che è emersa spesso negli anni. Gerico non è mai caduta ha oramai una discreta resistenza, il primo post (sulla piattaforma splinder) è di Giovedì 20 Settembre 2007. La “morte” di Splinder non ha ammazzato questo blog che non cade e resiste, come dice il suo stesso nome.
Che inferno deve essere quello di chi ascolta musica, legge o vede un film per darsi un tono e non perché sia incuriosito o gli piaccia, un inferno da ignavo, sempre a correre dietro alla bandiera del momento, a quella che gli appaia più colorata e vistosa per l’idea che si è fatto di come deve apparire al mondo, che inferno deve essere l’imporre a se stessi un falso gusto, fingere, magari con il ciglio aggrottato e una mano sotto al mento per dare ad intendere la presenza di un pensiero che non c’è.
PS: Sulla vicenda di Eric Campbell consiglio un recente documentario, Chaplin’s Goliath